Bentrovati dopo la pausa estiva, speriamo finalmente di poter riprendere mano seriamente al nostro appuntamento del sabato, e anche di riprendere il normale aggiornamento dei post. Come promesso vi propongo un nuovo racconto ispirato alla leggenda di Orfeo e Euridice, una travagliata storia d'amore con un risvolto amaro. La storia credo che la conosciate quasi tutti, e spero che vi piacerà la versione che ne ho fatto. Un paio id note, se notate delle discrepanze o imperfezioni, fatemelo sapere, cosi ne discuteremo insieme.
Buona lettura.
Buona lettura.
Il fiume Ebro scorreva lento, fra un
ansa e una balza, mentre un groviglio di ricci galleggiava in
silenzio spinto dalla corrente. Quando si addentrò in un boschetto,
presso una curva, una donna aspettava in silenzio. Vide la palla di
peli avvicinarsi, entrò in acqua e la raccolse, tirandola su con una
mano. L'acqua scorreva via dalla testa recisa, scorrendo dalla bocca,
dal naso e da quello che rimaneva del collo. La donna porto il volto
ceruleo fino all'altezza dei suoi occhi, lo fisso torvo e disse
“stupido, stupido figlio”. “Madre” - il volto si rianimo, gli
occhi corvini si aprirono e la bocca parlo con una voce cavernosa e
lontana - “mi hai trovato, credevo che sarei arrivato fino al
mare”. “Razza di stupido, valeva la pena perdere il tuo corpo per
una donna, per uno stecco secco per di più?”. “Madre ti prego,
ne abbiamo già parlato” - il giovane viso continuò a parlare,
mentre la sua voce diventava più armoniosa, e il viso riprendeva
colore - “Euridice era ed è il mio grande amore, l'amo in un modo
incredibile, totale, non potevo non cercare di riportarla da me”.
“E intanto sei finito in questo modo, ma non ti chiedi come sia
possibile una cosa del genere? Tu, figlio di Apollo e mio, finire
fatto a pezzi dalle menadi?”. “In effetti ci sono cose che
neanch'io riesco a capire, non capisco come un vipera abbia
avvelenato Euridice, come mai l'ha morsa. Euridice era un amodriade,
una nifna di un albero, era tutt'uno con la natura. Eppure una vipera
l'ha morsa ed è morta. Madre, c'è stata la mano di qualcuno dietro
a tutto questo?”. “Pensaci Orfeo” - rispose Calliope
-”raccontami quello che è successo, cosa hai visto nel regno di
Ade”. “Allora” - l'espressione del viso di Orfeo si fece
corrucciata, e iniziò a ricordare gli avvenimenti degli ultimi
giorni - “Euridice era morta da circa un mese, come ti ho detto
l'aveva morsa una vipera, e io finalmente ero abbastanza lucido per
capire cosa dovevo fare. In fondo ero Orfeo, ero figlio di due
divinità, e molti pensano che io posso aspirare a un posto
nell'Olimpo. Cosi cominciai a pregare gli dei, con la canzone più
straziante che riusci a cantare. Tutto il creato iniziò a piangere
con me, gli uccelli, i lupi e le lepri, e gli alberi stessi. Poi,
infine, Zeus ascolto la mia preghiera e mando da me Hermes, il quale
come psicopompo poteva mostrarmi la strada per gli inferi”. “Bella
guida che ti ha mandato” - lo scherni Calliope - “il dio dei
ladri e dei briganti, proprio una bella compagnia. Sapessi quante
volte ha cercato di mettermi le mani sotto la sottana”. “Madre ti
prego” - la interruppe Orefo - “fammi finire. Hermes mi porto in
un posto incredibile, alle pendici di un grande vulcano, nei pressi
di un lago coperto da una nebbia sulfurea. Li gli uccelli cadevano al
suolo inebetiti, e non c'era traccia di insetti o di pesci. Qui
conoscemmo una tribù di umani molto singolare, erano devoti di Ade,
e potevano mostrare la strade per il suo regno, questo perché Hermes
non poteva portare un anima viva nel sottomondo. Hermes mi raccontò
che Chirone aveva insegnato loro questi misteri, loro furono ben
lieti di insegnarmeli quando cantai loro del mio amore per Euridice”.
“Avranno frignato come delle bambine” - sbotto di nuovo la madre
- “conosco i cimmeri, e so bene quello che possono fare. So anche
che saranno cantati più e più volte in futuro. Conosco anche il
luogo dove ti ha condotto, e come musa ti dico che sarà luogo di una
grande catastrofe, il vulcano che hai visto causerà un lutto che
verrà raccontato nei secoli che verranno”. “Comunque “ -
riprese Orfeo - “io narrai loro del mio amore e della mia perdita,
e loro mi insegnarono le vie per andare nell'inferno. Le appresi cosi
bene, che volevano farmi loro sacerdote, ma io non avevo pensiero che
per il mio amore, e cosi mi apprestai per il mio viaggio.
L'incantesimo era semplice, un cerchio magico, e la strada fu aperta.
Hermes ed io ci incamminammo in quello che sembrava un enorme caverna
oscura, rischiarata a tratti da luci misteriose. Arrivammo preso le
rive di un fiume oscuro, che puzzava di sangue rappreso e di morte, e
una barca fatta d'ossa e di unghie di morti ci venne a prendere. Una
creatura orribile la conduceva, un vecchio magrissimo, con la pelle
rappresa come cuoio vecchio e dallo sguardo malefico, mortale: Charun
o Caronte, non ricordo bene il nome. Non voleva traghettarmi perché
ero ancora vivo, ed Hermes non riusciva a convincerlo. Cosi iniziai a
cantare, e per la prima volta nella sua esistenza da quegli occhi
malvagi sgorgo un unica amara lacrima. Una volta passati camminammo
per ore, con l'orribile sensazione che qualcosa ci seguisse
nell'ombra, qualcosa di mostruoso e affamato. All'improvviso ci si
parò di fronte una creatura orripilante, mostruosa. Un cane deforme
con tre teste sbavanti, Cerbero lo chiamò Hermes. Il mostro mi
attacco e quasi mi morse, ma io fui più veloce di lui e iniziai a
cantare. Il mio canto riusci ad ammansire la bestia, che alla fine
iniziò a leccarmi le mani, e si girò docile per farsi grattare la
pancia come fanno i cuccioli. Addentrandoci nel regno di Ade ci
vennero incontro anime e ombre, e molti di loro erano sottoposti a
orribili tormenti e torture. Incontrammo Issione, che girava in
eterno legato a una ruota. Era li da cosi tanti anni che ne aveva
perduto il conto”. “Povero stupido” - lo interruppe ancora
Calliope - “Tuo 'nonno' lo piazzò li perché aveva insidiato Era.
Al vecchio porco di Zeus piace tradire, ma se le corna sono le sue
gli prudono parecchio”. “Cantai anche per lui, e la ruota si
fermò. Issione tirò un sospiro di sollievo dopo molto tempo, e mi
ringraziò”, “Se non stai attento, Zeus ti metteva al suo posto”
- replico Calliope. “Continuammo nel nostro viaggio, e incontrammo
persino Tantalo, conoscevo la sua storia, ma il supplizio a cui era
sottoposto era orribile. Era immerso in una pozza fino al collo, con
un albero che cresceva dietro di lui, con grossi frutti che pendevano
da sopra la sua testa. La fame lo straziava, e la sete gli bruciava
la gola. Ma quando provava a bere, l'acqua si ritirava, e se provava
a prendere dei frutti, i rami si alzavano, allontanandosi. Provai di
nuovo a usare la mia lira, ma tutto ciò che riuscii a fare fu di
fermare acqua e frutti lontano da lui. E prima che mi interrompi di
nuovo, madre, quella volta ho rischiato seriamente l'ira di Zeus. Le
Erinni non sentendo più le grida di Tantalo, vennero a indagare, e
mi trovarono a cantare. Ci volle l'intervento di Hermes per impedire
a quei demoni di uccidermi, ma anche loro infine si ammansirono. Anzi
si offrirono di accompagnarci al trono di Ade, ci condussero giù per
una lunga scalinata, e scacciavano i demoni che tentavano di
avvicinarsi. Mentre scendevamo sempre più in basso, in un anfratto
di lato della scalinata, vidi dei visi conosciuti, seminascoste dalle
piume delle ali, mi fissavano con occhi torvi e pieni di rabbia.
Ricordavano la sconfitta che gli avevo inflitto, quando insieme a
Giasone e ai nostri compagni le incontrai la prima volta. Erano le
sirene, le creature col canto ammaliante, ma io le superai in abilità
quando le affrontai e salvai tutti noi. Erano li, sapevo che
appartenevano in parte a quel mondo infero, ma mai mi sarei aspettato
di rivederle. La cosa che mi sorprese di più, fu che una di loro,
Parthenope è il suo nome, mi guardo torva e sorrise malignamente.
Però più di tanto non fecero, credo perché le Erinni continuarono
a proteggerci per tutto la nostra discesa, e alla fine arrivammo alla
corte di Ade e di Persefone”.
“Ed ecco il tuo errore, piccolo
poeta. Hai sottovalutato un nemico ferito” - soggiunse Calliope -
“Ma in fondo sei un cantore, non un guerriero”, “Che vuoi
dire?” - la interruppe Orfeo - “che centrano ora le sirene?”;
“Lo saprai a tempo debito, finisci il tuo racconto”. Orfeo si
fermo per riordinare i pensieri, istintivamente cercò di inspirare,
ma ormai non aveva più dei polmoni da riempire. Cosi riprese il
racconto “Alla corte di Ade ti dicevo, era incredibile madre, un
enorme stanza, riccamente arredata. Piena di affreschi alle pareti,
di tende e drappeggi, e di mosaici sui pavimenti. Ma ogni scena
riportava storie di pena e di dannazione, quasi che Ade si
compiacesse di quello che faceva alle ombre peccaminose. Solo un
affresco, il più bello di tutti, rappresentava la storia di
Persefone, rapita a sua madre e portata giù negli inferi. E di come
poi Cerere e Ade hanno stretto il patto che permetteva alla dea
dell'aldilà di stare sei mesi col suo signore, e sei mesi con sua
madre”, “Conosco la storia” - aggiunse Calliope - “ma non
credere che sia come te l'hanno raccontata. Persefone scappò col suo
bell'Ade, e la madre fece fuoco e fiamme per poterla riavere con se.
La terra conobbe un lunghissimo inverno prima che quei due potessero
mettersi d'accordo. E chi ne soffri furono i mortali che tanto ami”.
“In verità Persefone fu molto accomodante con Hermes e con me, un
po' meno Ade. Devo dire che mi ricordò i modi spocchiosi e di
sufficienza che a volte vedo in mio padre Apollo, e credo che sia per
la nostra parentela che non mi ha cacciato via appena mi ha visto.
Persefone, dicevo, fu molto accomodante, ci fece accomodare a un
banchetto imbandito al momento, ci offri vino e frutti dolci, mentre
Ade sorseggiava l'ambrosia. Hermes cercò di intercedere per me e per
la mia amata. Ma lui fu irremovibile, parlo di leggi, di accordi, e
di divisione dei regni. Io mi senti disperato, ma Hermes non si perse
di coraggio, e suggerì che fossi io a supplicarli. Ade era sempre
più annoiato, iniziò a mescere vino e ambrosia, e più di una volta
sbuffo e disse che non voleva sentire i miei piagnistei. Persefone
invece mi porse la mia lira, e mi invito a cantarle la nostra storia.
Notai uno sguardo d'intesa fra lei e Hermes, come se avessero
preparato il tutto a quel momento. Infine iniziai a cantare, mentre
Ade in risposta cominciò a sbadigliare ripetutamente. Cantai ancora
una volta del mio amore per Euridice, della nostra passione e del
nostro legame. Dei sogni e delle speranze che avevamo, e di tutti i
progetti che avevamo. Credo di aver superato me stesso sai madre, non
lo dico per falsa modestia, ma intorno a noi si riunirono frotte di
demoni e creature infere, e ognuno aveva un espressione intristita
sul volto, o quello che era. Tisifone, Megera e Alecto erano ai miei
piedi in lacrime, pregando Ade di rilasciare Euridice. L'unico che
non sentiva ragioni era proprio lui, il re di quel mondo oscuro. Lui
non voleva sentire ragioni, anzi, continuò a sbadigliare e alla fine
del mio canto lo sentii russare vigorosamente. Non credevo che gli
dei dormissero in quel modo”. “E ancora una volta la tua
ignoranza ti condanna figlio mio. Ma procedi, vai”, “Vorrei che
fossi meno ermetica madre, spero che mi spiegherai tutto quando avrò
terminato la mia storia. Come ti ho detto Ade prese sonno, forse
Morfeo volle darmi anche lui una mano, e Persefone ne approfittò.
Chiamo due demoni che sembravano fatti di sale, e ordino loro
qualcosa in una lingua oscura. I due si allontanarono, e Persefone mi
disse che potevo portar via Euridice prima che Ade si svegliasse,
però non potevo girarmi a guardarla prima di essere uscito dagli
inferi, altrimenti l'avrei persa per sempre. Mi disse di voltarmi, e
sentii dei passi pesanti alle mie spalle. Persefone mi disse di
andare e di stare tranquillo perché l'ombra di Euridice era dietro
di me, anche Hermes annui col capo, e io iniziai il mio viaggio di
ritorno nel mondo dei vivi. Ripercorsi la strada al contrario, e per
molta della strada non sentii nulla, poi piano piano sentivo la terra
muoversi e poi dei passi leggeri calpestarla, evidentemente la mia
amata stava riprendendo forma e sostanza, non essendo più un ombra.
Il mio cuore si riempì di speranza, e fermo al mio patto continuai
la mia strada. Passai persino Cerbero, e sulle sponde dello Stige
senti una voce femminile chiamarmi. 'Orfeo, Orfeo amore mio dove
siamo' disse 'ho paura qui, è buio e orribile, girati e abbracciami
amore, ho paura'. 'Non temere mia amata' risposi ' ci potremo
riabbracciare e amare una volta fuori di qui, per ora devi avere
pazienza'. Era strana la sua voce, era simile alla sua, molto simile,
ma in fondo,pensai, stava riprendendo forma corporea. Il barcaiolo
mostruoso ci fece salire sulla sua imbarcazione, e ci menò all'altra
riva. Anche lì la mia amata mi parlò di nuovo: 'Orfeo, chi è
questa creatura? Cosa facciamo qui. Ho freddo, girati ti prego'. Io
la rincuorai di nuovo, e di nuovo le chiesi di aver pazienza.
Arrivammo quasi ad una delle uscita dell'Averno, quando per l'ultima
volta senti la voce di Euridice: ' Orfeo, la caviglia, mi fa male,
non riesco a camminare. Ti prego aiutami'. Al suo grido di dolore, istintivamente mi girai e
tutto quello che vidi fu l'ombra della mia amata venir risucchiata
dalle tenebre, mentre la porta dell'inferno si richiudeva intorno a
me. Mi ritrovai fra i Cimmeri, solo come ero partito. Restai con loro
pochi giorni, e poi iniziai a vagabondare nei dintorni delle loro
terre. Arrivai nei pressi di un grande golfo, e li trovai dei
mercanti che mi riportarono in Tracia. Li continuai il mio
peregrinazione, cercando di dimenticare il mio perduto amore, quando
incontrai un gruppo di menadi, le devote di Dioniso. Mi invitarono a
unirmi a loro, e di partecipare a un loro rito orgiastico. Ma io
rifiutai fermamente, non potevo avere altre donne all'infuori della
mia Euridice, non riuscivo ancora a dimenticarla. Ma le menadi non
presero di buon grado il mio rifiuto, mi dissero che in un modo o
nell'altro avrei partecipato al loro rito e mi catturarono. Oh madre
fu orribile, orribile, cercarono di ammaliarmi, ma io non ho ceduto
alle loro lusinghe, allora cercarono di possedermi con la forza, ma
neanche il mio corpo volle cedere. Infine si infuriarono, e
iniziarono a dilaniarmi il corpo con le unghie e con i denti. Mi
fecero a pezzi, mangiarono le mie membra, si disputarono il mio
sesso, e usarono le mie ossa per il loro piacere. Io invocai mio
padre e Dioniso, invocai Zeus e tutti gli dei, ma l'unico che rispose
fu un frequentatore abituale dei loro banchetti: Priapo. Il figlio di
Dioniso raccolse la mia testa, e iniziò a deridermi, mi disse che
non avrei dovuto più pensare a Euridice, di abbandonarmi al piacere
e alla lussuria, e ad ogni mio diniego rideva. Infine, annoiato dalla
nostra conversazione, lanciò via la mia testa e finii a fluttuare
sull'Ebro dove mi hai raccolto”. “Sciocco figlio, non vedi, non
capisci come sei stato vittima di una trama assurda che ti ha ridotto
in questo stato?” - cominciò Calliope - “ricordi? Hai detto che
era strano che una serpe abbia morso e ucciso Euridice? Una ninfa
uccisa da un animale comune? Nessun mostro figlio di qualche dio, o
qualche creatura strana, solo un semplice serpente. Basta questo a
uccidere una di noi? E di come Ade era restio al tuo canto, e
addirittura si era addormentato e aveva permesso a sua moglie di
farti quasi portar via un anima? Credi che Ade sia uno stupido
accondiscendente come tuo nonno? Hai detto anche che Euridice ti
parlava con una voce diversa dalla sua, che tu credevi che il motivo
era il suo riprendere forma umana, ma quando ti girasti era sempre un
ombra? Chi può aver ordito questa trappola sciocco poeta, chi
potrebbe aver architettato tutto questo, farti ridurre in questo
stato, senza incorrere nell'ira di tuo padre Apollo? Pensaci bene, se
il tuo nemico ti avrebbe attaccato direttamente, di certo avrebbe
subito l'ira di tuo padre e la mia, cosi come accadrà alle menadi
che ti hanno smembrato. Ma loro sono solo una conseguenza, uno delle
tante causate dal morso di quella serpe. A chi hai causato una tale
onta da dover fare tutto questo? E allo stesso tempo era cosi astuto
da non averne conseguenze? Due donne spettegolano, tre causano la
rovina di un uomo, dice un vecchio adagio”. Orfeo si rabbuiò, e una
luce di consapevolezza si accese nei suoi occhi vitrei “Le sirene”
- esclamò - “sono state loro, loro in qualche modo hanno usato la
vipera e, come psicopompi, hanno fatto morire Euridice, sicure che io
avrei tentato di riaverla. Erano loro che mi parlavano e volevano che
mi girassi; e sempre loro, in qualche modo, hanno fatto assopire Ade,
forse erano d'accordo con lui, sicure che Euridice non avrebbe mai
lasciato gli inferi. Madre, sono loro che hanno causato la mia
rovina, perché io le ho sconfitto a bordo dell'Argo. Con la mia
musica le ho umiliate, e con la mia voce le ho battute. Loro hanno
aspettato e tramato nell'ombra tutti questi anni, solo per causarmi
dolore”. “Vedi che non sei stupido come sembri?” - Calliope
sorrise, si girò su se stessa e si incamminò nel piccolo bosco,
portando con se la testa di Orfeo - “ma non preoccuparti, tra
tanto, tanto tempo, loro avranno quello che si meritano. Te lo posso
assicurare in quanto musa, e ti dico che non finirà quest'era che
loro tre moriranno, battute non da un dio, ma da un semplice mortale.
Il problema è che cosa ne farò ora di te?”. “Madre fammi
morire, cosi che possa unirmi a Euridice” - chiese Orfeo -
“Stupido, e scatenare su di me le eumenidi? Non ci pensare nemmeno. Conosco un isola poco lontano, con un piccolo tempio. Ti lascerò li,
quando quest'era finirà, e tuo padre e tutta la sua schiatta saranno
dimenticati, quando io e le mie sorelle avremo nuovi domini, forse
potrai morire e nessuno ne subirà le conseguenze. Fino ad allora
canterai le tue canzoni e il tuo amore”. Cosi dicendo Calliope si
addentrò nel bosco, mentre Orfeo iniziò a cantare ancora una
volta.
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