Il segreto di Pulcinella

Credete di conoscere Pulcinella? Credete di conoscerlo veramente, sapete che le sue origini vengono da lontano, prima del '500 quando è stato creato ufficialmente da Silvio Fiorillo? Prima di essere una maschera della commedia dell'arte? Conoscete le Fabulae Atellane, i personaggi di Maccus, Dossenus e Kikirrus? Sapete che esiste una tomba etrusca chiamata la tomba di Pulcinella? No, beh spero che la mia storia vi faccia venire voglia di approfondire la storia di questo simbolo partenopeo, e magari di conoscere un po' meglio le sue origini. Buona lettura.

La grotta era calda e umida, tanto che dal soffitto gocciolavano copiosamente gocce d'acqua miste a sudore. I tamburi e i flauti suonavano ormai da ore, senza fermarsi, e i musici non davano cenno di stanchezza o di volersi fermare. Al centro della grotta ribolliva un grosso calderone, in cui due donne, una pallida e eterea e l'altra bruna e rubiconda, aggiungevano ingredienti e rimestavano in continuazione. Tutt'intorno le menadi dimenavano i loro corpi in una danza forsennata, avvinghiandosi morbosamente al corpo bestiale ora di un sileno, ora di un satiro, e poi lasciandoli andare e danzando da sole. Ad assistere al tutto, assiso sul suo trono, Dioniso beveva a piccoli sorsi un vino nuovo e si beava del festino, orgia e cerimonia in suo onore al tempo stesso. Dioniso aveva preso una forma consona alla situazione, il busto umano da giovinetto, sul cui capo svettavano due corna da montone. La parte inferiore del corpo era quella di un grosso felino, un leone o una tigre. Dalle spalle spuntavano foglie e grappoli d'uva, come da un vitigno rigoglioso. Voleva, doveva, mostrare ai suoi seguaci il suo profondo legame con le forze della natura, assumendone più aspetti. Intorno a lui, gli atti carnali delle menadi erano preghiere, e ogni atto perverso dei satiri un ode. Mentre la danza raggiungeva il suo apice, una figura scura entrò di soppiatto, cercando di non farsi scorgere dai baccanti, era un uomo con braccia e gambe magre, ma dal ventre grosso e prominente. Se qualcuno gli avesse dato un occhiata di sfuggita, avrebbe potuto prendere il suo petto per quello di una donna, tanto era gonfio e abbondante. Il suo volto era paffuto, con delle grosse guance, e nel mezzo del viso svettava un grosso naso adunco, simile al becco di un uccello. Indossava una lacera veste grigia, che un tempo era stata di un bianco candido. L'uomo evitò attentamente di passare vicino ai danzatori, e si fece forza per non avvicinarsi vicino al banchetto, anche se il suo stomaco brontolava rumorosamente. Camminava in modo strano, a piccoli passi e guardandosi in giro a scatti, come una gallina che attraversa circospetta l'aia. Dioniso lo notò, e lo segui per un po' con lo sguardo, lo vide zompettare fra luce e oscurità ridendo delle sue movenze, e infine alzò la mano indicandolo. Repentinamente due satiri lo presero, trascinandolo vicino al trono e mettendolo a sedere ai piedi di Dioniso.
“Ce l'hai fatta ad arrivare” - disse il dio sorseggiando un del vino - “Portatene un po' anche al mio ospite, e un po' di carne e di frutta”
Un menade si precipitò a raccogliere in un piatto quello che poteva, mentre un altra riempì un boccale fino all'orlo e lo porse all'uomo.
“Bevi e mangi amico mio, poi se vuoi qualcos'altro, basta chiedere” - fece ammiccante Dioniso.
“Mangio, mangio, non me lo faccio dire due volte” - l'uomo prese a ingozzarsi e a bere, mentre il suo viso si colorava di rosso a causa del vino - “é buono questo padrone, spero che me ne farete portare via un pò”
“Mangia e bevi a sazietà Phersu, non preoccuparti” - Dioniso sogghigno - “ah no, come ti chiami ora, ah si Maccus o Kikkirus?”
“Padrone mio” - rispose Phersu con la bocca piena - “chiamatemi pure Maccus, da anni mi chiamano tutti cosi.”
“Bell'idea che hai avuto per muoverti nel mondo, ispirare delle storielle da far interpretare agli attori. Storielle goliardiche, divertenti, che piacciono al volgo. Cosi fino a dove puoi arrivare? Fino a Roma e oltre? E i tuoi poteri?”
“Io non ho più poteri mio signore, sono fortunato a esistere ancora. Se Ade non mi avesse cacciato, magari sarei ancora alla sua corte, avrei ancora il mio bel berretto e porterei il mio molosso a tormentare i malvagi. Non starei a elemosinare cibo e energia qui alla vostra. Si fa quel che si può per vivere, anche voi avete cambiato nome mi pare” - Phersu sorrise, mentre un rivolo di vino gli scendeva ai lati della bocca.
“Uff, Dioniso o Bacco, è la stessa cosa. Anche il mio diletto Priapo ha preso alloggio in queste nuove terre, lo sai? Grazie a un imperatore si è insidiato al posto di un dio romano, e da dio della lussuria è diventato protettore di campi e coltivazioni. Proprio grazie ai romani il nostro potere si estende in buona parte del mondo conosciuto, senza di loro saremo ancora a rigirarci i pollici sulle isole greche o peggio.”
“Un dio è forte quanto lo sono i suoi seguaci” - sentenziò Phersu
“Ma tu non sei un dio” - lo rimbecco Dioniso - “eppure anche le larve come te, prendono forma, diventano demoni o spiriti, e poi per andare in giro imparano il trucchetto del Ki. Sei furbo Phersu, molto di più di molti tuoi simili.”
“Però, presto o tardi finirà tutto”
“Se noi vogliamo, se noi facciamo come Zeus o Poseidone, che si siedono sui loro troni e aspettano che gli umani li vanno a pregare, ma da ormai cento anni Suo figlio ha iniziato la rivoluzione che ci farà sparire. Già molti figli di Gea stanno andando via, hanno trovato una terra oltre questa in cui poter vivere. Altri invece si preparano a essere dimenticati, sperando che qualcuno un giorno o l'altro li riporterà in vita. Io però non aspetto l'oblio, guardati intorno, molte delle menadi sono semplici umane, e cosi molti dei suonatori. Sto insegnando loro una danza, e questa danza mi farà avere energia e potere per i secoli a venire. Poco lontano da qui, c'è una città, tanti sono quelli come noi che cercano di stabilirsi, ma io ne ho preso possesso. E la sua gente mi nutrirà e mi sazierà nei secoli a venire. Però devo dare loro dei simboli, delle credenze, perché no, anche delle danze, collegate a me. Per pascermi, e permettermi di affrontare i tempi che verranno”
“Che città è? La conosco?”
“Certo che la conosci stupido, è vicino alla tua Atella, la città della sirena”
“Ah, si mi piace, mi piace molto. Secoli fa ci viveva un mago, un certo Virgilio, l'ho conosciuto ai vecchi tempi.”
“Esatto, e proprio lui mi ha fatto conoscere e amare quel posto. E' perfetto per me, il caos ci scorre a fiumi, e nelle sue viscere puoi trovare posto per fare qualsiasi cosa. E qui veniamo a noi...”
“E veniamo a noi “- ripeté Phersu -”lo sapevo che il mangiare e la musica non erano aggratis.”
“Sei un malfidente, mio buon Maccus”- Dioniso sorrise in modo ammiccante.
“Eh mo ha smesso di chiamarmi pure Phersu, per fortuna, perché a Roma pare che fa rima con fesso”
“Per questo mi piaci, sei furbo amico mio”- Dioniso batté le mani, e subito la musica e le danze si fermarono. Ogni partecipante prese posto a sedere, tranne le due donne vicino al calderone -”Vedi quelle due”- disse indicandole -“la bruna è Draconia, una mia menade che ha seguito la strada dei misteri di Persefone, nessuno conosce il mondo degli inferi come lei. L'altra invece ha come nome Colomba, è figlia di una divinità celeste, ma ha rifiutato il suo retaggio e ora serve me per ripicca al suo genitore. Insieme stanno preparando un incanto, una magia potentissima, quella con cui creerò uno di quei simboli che mi serviranno in futuro.” - Dioniso fece cenno alle due donne di avvicinarsi. Draconia smise di girare, e uso il paiolo per tirare fuori dalla pignatta un oggetto scuro. Colomba si avvicinò e raccolse l'oggetto in un candido panno, poi, insieme si avvicinarono al trono. Draconia prese posto ai piedi di Dioniso, appoggiando la testa sulle gambe della divinità. Colomba si inginocchiò presso Phersu, porgendo il candido fagotto.
“Dragoncina e Colombina, che bei nomi che avete” - esclamò Phersu con un espressione ebete -”e come siete belline”- incalzò allungando una mano verso il seno di Colomba. La donna reagi repentinamente, mostrando delle lunghe zanne candide, gli occhi si illuminarono di una luce biancastra e l'aria iniziò a riempirsi di corrente statica. Fuori dalla grotta, si udì un tuono cadere vicino.
“Ferma”- le ordinò Dioniso -”ti ho detto che Colomba è figlia di un dio, ma non greco. Viene dal nord, e non è disponibile come la progenie di cagnette dei miei consanguinei.”
“Ah le figlie dei tuoi consanguinei, ma anche le mamme però, e vuoi mettere le sorelle?” - dicendo questo Phersu raccolse con molta circospezione il fagotto dalle mani di colomba, poi lo aprì rivelando il suo contenuto: una maschera che poteva coprire la parte superiore del viso, con un grosso naso adunco, che sembrava fatta apposta per il viso di Phersu. Era tutta nera, di un nero scuro, quasi come se un pezzo di buio fosse stato plasmato in quella forma. Phersu si perse a guardarla, l'alzo all'altezza dei suoi occhi e ammirò la fattura di quell'oggetto cosi singolare
“Ti piace?” -chiese Dioniso- “So che chi interpreta Maccus di solito indossa una mezza maschera, a differenza di quelle degli altri attori, spero che sia di tuo gradimento.”
“Lo è padrone, lo è. Com'è bella, ed è mia?”
“E' tua se accetterai un piccolo patto. Indossala, e crea questo simbolo. Sii l'anima di questo popolo nato da Parthenope, sii il loro giullare, il loro buffone, ma anche il loro riflesso e il loro spirito. Incarna parte dello spirito di quella città, e rendila mia. Sii il mio alfiere del caos, del disordine, della dicotomia. Sii la mia pedina, in questo gioco di potere contro i miei fratelli.”
“E se lo farò, io che ne guadagno?” - chiocciò Phersu, continuando a guardare la maschera in mano sua -”Fama? Gloria? E che altro?”
“Quello che più desideri, poter andare dove vuoi. Avrai un posto da chiamare casa finalmente, e in futuro, se tutto andrà come penso, potrai viaggiare in tutto l mondo, senza soffrire la mancanza di Ki”
“Allora, a me la fame, magari anche Gloria, poi ho una casa a cui pensare, e alla fine me la devo fare a piedi per tutto il mondo? E tu? Tu padrone che ci guadagni.”
“Il caos è il mio pane, e tu me ne porterai tanto”
“E cosi sia, se questo è il desiderio del mio padrone, ci vorranno anni però, cento o magari duecento....”- Phersu girò la maschera, e la indossò. Era fatta apposta per lui, e gli calzava alla perfezione, come una parte del suo corpo che aveva finalmente ritrovato -”...ma alla fine credo che ce la farò” - con la maschera in volto, Phersu si girò intorno a guardare tutto il corteo di Dioniso, sorridendo goliardicamente -”però ora, con questa bella maschera, non sono più Phersu, padrone, o Maccus, o Kikkirus, chi sono ora?” - chiese, e mentre lo diceva gesticolava continuamente, come se uno spirito nuovo lo animasse -”Sono rinato, sono un uovo nuovo, cioè un homo novo, chi sono padrone, chi sono?”
Dioniso sorrise - “sei un uovo? Allora forse sei un pulcino? O un galletto?”
“Galletto no, senno mi fanno arrosto, e il pulcino è piccolino. Sarò un pulcinello, ne gallo ne pulcino ma a metà strada. Anzi sarò Pulcinella”

“E Pulcinella sia” - Dioniso batté le mani e le danze ricominciarono, ma ora in mezzo alle menadi e ai satiri, ballava goffamente il neonato Pulcinella.  

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