La fuga - Capitolo 7

Bentornati, Abram ha preso ed è fuggito via dalla sua vita, dalla sua città e da quella che chiama civiltà. Presto incontrerà i misteriosi belanti, e inizierà a capire a che servono i pezzi del coccodrillo.

Buona lettura.


Lascio l’albergo a giorno fatto, per poterlo pagare aveva dato fondo ai pochi risparmi che aveva portato con se. Sistemò alla meno peggio la giacca, e si alzò il bavero della camicia in modo da sembrare un giovane mercante in viaggio. Raggiunse la porta ovest della città, e poi con un ampio giro, tornò indietro, dirigendosi verso le montagne: cosi facendo sperava che nessuno lo notasse mentre guadagnava la strada verso la libertà. Il viaggio durò quasi due ore, un paio di volte si fermò per dare un occhiata al taglio, lo aveva fasciato con un pezzo delle lenzuola dell’albergo, ma continuava a fargli male. Del colpo sul fianco invece era rimasta solo una bruciatura, il dolore era passato abbastanza in fretta, e rimanevano solo delle setole bruciacchiate. Ancora non riusciva a spiegarsi come il vecchio guardiano gliela aveva fatta, ne se era stato lui o lo strano guanto che indossava. I misteri si infittivano, e Abram temeva che prima o poi lo avrebbero inghiottito. Mentre si avvicinava alle montagne, incontrò un asinello che pascolava placido vicino ad un boschetto, l’animale aveva ancora il segno dei finimenti sul muso, ma non ne portava nessuno. Abram pensò che doveva essere stato liberato da qualcuno a cui non serviva più, e subito il suo pensiero andò a Jacob. Scese da cavallo, libero anche il suo animale della sella e del morso, e gli diede una pacca sul posteriore per mandarlo via. Il cavallo raggiunse il mulo, e tutte e due iniziarono a brucare l’erba bagnata di rugiada. Guardandoli pascolare Abram ricordò il discorso di Moses, e pensò che forse sarebbe stato meglio sia per il reverendo che per suo cugino Adam grufolare e mangiare dalla mattina alla sera, che combattersi fino alla morte. Con questi pensieri nel cuore, Abram si avviò nel bosco, lo attraversò senza problemi, e finalmente raggiunse una piccola radura alle pendici di una montagna. Ormai il sole era alto nel cielo, e la radura era del tutto illuminata, Abram poggiò per terra il sacco e si stese sotto un albero a riposare. Si era appisolato da poco, quando un rumore alle sue spalle lo fece trasalire, si alzò di scatto e uscì dal suo riparo sotto gli alberi. Tutt’intorno a sé iniziarono a levarsi fruscii e rumori di rami, poi una nenia, quasi un canto, e infine un urlo disumano si levo dalla macchia di vegetazione di fronte a lui. Come una furia uscita dall’inferno, un enorme creatura, alta almeno tre metri uscì dal bosco e si corse verso di lui, Abram non aveva mai visto nulla del genere, sembrava un verro grande e muscoloso, con delle grossa corna ricurve sulla testa, un manto villoso e scuro che gli ricopriva buona parte del corpo e degli arti, il suo viso non aveva nulla di suino, un viso schiacciato con una strana bocca che raggiungeva la base del naso piatto e largo, due occhi grandi e scuri, e delle cose che gli pendevano ai lati della testa. La creatura gli si avventò contro, ma lui riuscì a schivarla lanciandosi di lato e finendo in un cespuglio. La creatura si girò fulminea, e si lanciò anche lei sul cespuglio dove si trovava Abram, stavolta l’impatto fu inevitabile e Abram si trovò schiacciato sotto il peso di quel mostro. Sentì qualcosa rompersi dentro di lui, e un sapore metallico in bocca, ma non fece in tempo a scoprire cosa fossa che la creatura lo alzò di peso e con un altro di quei suoni orribili lo lancio nel mezzo della radura. Quando vide che il suo assalitore lo stava per caricare di nuovo con le grossa corna, le forze lo stavano per abbandonare, poi qualcosa balzò fra lui e il mostro e lo blocco. Con gli occhi pieni di lacrime per il dolore, vide suo cugino Jacob fermare l’assalitore e parlargli in una strana lingua, poi, prima che Jacob riuscisse a raggiungerlo, perse i sensi. Era ormai notte alta quando Abram si riebbe, ritrovandosi steso su una stuoia di giunco, con una fascia di erbe intorno al torace.
- Stai fermo – gli disse Jacob.
- Cosa? – Abram mise a fuoco la figura dinanzi a lui e riconobbe il cugino fuggito – che Dioniso mi porti.
- Attento, stai iniziando a parlare come zio Isaia, allora cugino, qual buon vento ti ha portato qui?
- Spiegami prima dov’è qui.
- Certamente, questa è la casa di Fauno, un vecchio amico di mio padre, e capo di uno dei clan di belanti che vivono sulle montagne. Sono arrivato ieri nel pomeriggio, e sono stato accolto nel tuo stesso modo, per fortuna però che io conosco la lingua dei belanti, cosi quel bruto di Bacco non mi ha ridotto come te. A proposito stai fermo che hai una costola incrinata, lo sciamano ti ha rimesso a posto ma non puoi muoverti per un po’. Ora dimmi come mai hai seguito i miei passi?
- È una triste storia, cugino, e centra anche tuo fratello
Abram racconto' gli avvenimenti degli ultimi giorni, dalla proposta dei due presunti giudici oscuri fino al crollo della mescita. Alla fine del racconto Jacob si alzò e senza dire una parola si diresse verso l’uscio della strana casa. Abram rimase steso ancora un po’, poi fu raggiunto da una creatura simile a quella che lo aveva attaccato, l’unica differenza è che la creatura era evidentemente una femmina, o almeno le sue forme e i suoi attributi cosi suggerivano, anche perché era del tutto nuda. Inoltre non portava corna sulla testa, e l’espressione nei suoi occhi era calma e rilassata. La femmina si sedette vicino a lui, gli porse una ciotola con dell’acqua e lo fece bere, poi cambiò l’impacco e le fasciature, con un altro nuovo, infine ricoprì Abram con una coperta di lana grezza.
- Tu si fratello Jacob? – chiese la creatura.
- Ma, tu … tu parli – Abram era stupito, non pensava che i belanti sapessero parlare la sua lingua.
- Si, io parla come te – gli rispose la belante.
- Diavolo, questa è bella, mi scusi, volevo dire … - Abram ritrovò tutto il suo imbarazzo quando capì che quella aveva di fronte era una creatura intelligente e non un invenzione fantastica - … si, si può coprire per favore?
- Io coprire, ma io non freddo.
- Per piacere.
La belante stupita, prese un’altra coperta e se la poggio indosso, nascondendo le sue nudità ai pudici occhi di Abram.
- Scusa, dimenticato che voi maiali piace vestiti, noi no piace vestititi, Dioniso dato vestito lana, unico vestito della gente.
- Gente?
- Noi siamo gente, io, padre, madre e tutto clan, tutti clan sono gente.
- E noi saremmo?
- Tu maiale, noi gente.
- Bene – borbottò fra se Abram – io studio anni per farmi dire da una selvaggia che loro sono la gente. Senta, lei come si chiama?
- Tu parla buffo, si, io chiamo Rugiada, mio primo nome, tu chiama?
- Io sono Abram, piacere – Abram le porse la mano in segno di saluto.
- Tu vuoi toccare me? – cosi dicendo Rugiada si scoprì di nuovo, mostrando il seno piccolo ma delizioso, anche per un suino.
- No, no, - Abram ritrasse impressionato la mano – si rivesta la prego.
- Tu no vuoi guardare, tu no vuoi toccare, tu strano. Fratello Jacob piace toccare Rugiada, e piace …
- Non me ne importa – la interruppe brusco Abram – so benissimo cosa piace a Jacob, la ringrazio.
In quel momento rientrò Jacob, accompagnato da un altro belante. Anche quest’altro aveva delle grossa corna sul capo, ma sembrava più vecchio, il suo sguardo era più intenso, ad Abram ricordò quello di Moses. Alla loro vista Rugiada si alzò ed usci, nel farlo mostro ancora una volta orgogliosa le sue grazie, ma Abram si era coperto gli occhi dalla vergogna.
- La puoi smettere sai? – lo rimproverò Jacob – quella povera ragazza potrebbe essersi offesa. – cosi dicendo si accomodò vicino alla stuoia, seguito dal vecchio belante.
- È che non sono cosi aperto di vedute come te, chi è quest’altro.
- “Quest’altro” giovanotto – esordì il belante – è il capo Fauno, piacere di conoscerla.
- Lei parla la mia lingua meglio della giovane, signore, mi scusi io…
- Tuo cugino è sempre cosi cerimonioso Jacob? Se si sarà un vero divertimento svestirlo della sua civiltà.
- Si, è sempre cosi, anche se credo che questi ultimi giorni siano stati cruciali per lui.
- Capisco, Jacob mi dispiace ancora molto per tuo fratello, avrei preferito avervi tutti e due qui, e ti ringrazio giovane Abram per averci portato questa dolorosa ma utile notizia.
- Non capisco – Abram provò a mettersi seduto, ma il dolore lo costrinse a stare giù.
- Vedi, Fauno e mio padre erano amici, e lui è una specie di mio padrino qui fra i belanti. Io ora sono Jacob figlio di Fauno. Lui conosce, o meglio conosceva Adam e me da bambini, e sapeva che prima o poi avremmo corso un pericolo del genere. Bacco ti ha attaccato perché credeva che tu fossi al mio inseguimento, credeva che tu fossi un giudice oscuro.
- E perché i giudici oscuri cercherebbero di farti la pelle?
- Non a me, ma ai belanti, anch'io all’inizio ero stato preso per uno di loro, ma come ti ho detto ho saputo spiegarmi meglio di te. – Jacob si girò e prese il sacco di Abram – vuoi spiegarci come mai vai in giro con questa – chiese mostrando la mano del coccodrillo.
- Fa parte della storia che ti ho raccontato, è per quella che Adam e Isaia sono stati uccisi.
- Certo – intervenne Fauno, prendendo la mano del coccodrillo ed esaminandola attentamente – loro hanno paura che il signore torni in vita.
- Il signore?
- Si, il loro idolo privato, - Jacob guardò di traverso la mano mostruosa – i vari pezzi del coccodrillo che i belanti riescono a recuperare li danno in sacrificio a un idolo sulle montagne. Mio padre e mio fratello sono morti per una stupida superstizione.
- Non è una stupida superstizione, e tu lo vedrai fra qualche giorno, quando sarà il tempo della luna.

Il capo rimise a posto la strana reliquia, e iniziò a salmodiare una canzone per accelerare la guarigione di Abram.

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