Quarto capitolo delle avventure di Abram, e non mi dilungo oltre perchè di sicuro lo vorrete leggere.. Volevo solo aggiungere che non sto curando molto il blog a causa di una nuova attività che ho iniziato ultimamente, e di cui magari presto o tardi vi parlerò. comunque non mi sono dimenticato di voi, e presto farò partire un iniziativa che coinvolgerà la mia pagina Facebook e il blog, quindi seguitemi con attenzione nelle prossime settimane che ci saranno delle belle sorprese. Ed ora buona lettura.
Abram tornò a casa per il pranzo, ma
una volta entrato fu aggredito dalla madre e dalla zia.
- Non bastava tuo zio vero ? –
esordì sua madre – ora anche tu sei in combutta con quell’uomo
lurido?
- Madre – cerco di giustificarsi
lui – è solo un cliente, anzi il mio primo cliente.
- Taci, ti impedisco di continuare a
frequentarlo, anche a titolo di clientela.
- Voi mi impedite... – Abram
guardò la madre stupefatto, era abituato al suo carattere, ma
arrivare addirittura a questo – e se vi prometto che non metterà
mai più piede qui dentro.
- Oh, questo è il minimo ma tu devi
interrompere ogni rapporto con lui, tua zia ha passato l’intera
giornata a piangere, quando ha riconosciuto quell’uomo, il vero
responsabile della morte dello zio Irwing.
- Madre, lo zio Irwing è morto per
la malattia al fegato …
- Causata dalla birra vendutagli da
quell’uomo orribile – proruppe la zia in un pianto – il mio
povero Irwing.
- Veramente … - Abram soppeso bene
le parole che stava per dire, poi serrò i pugni e disse – avete
ragione, è un uomo orribile e io ho sbagliato a prenderlo come
cliente, domani gli riconsegnerò le sue carte e mi farò saldare il
mio onorario, va bene cosi?
- Benissimo – la madre emise un
grugnito di compiacimento – adesso vai a tavola, i tuoi cugini ti
stanno aspettando. Paolina – disse rivolgendosi alla sorella –
tu non sei in grado di stare a tavola oggi, il tuo aspetto
turberebbe i tuoi figli, quindi ritirati nella tua stanza, ti farò
servire il pranzo la se vorrai.
- Si, si – annui lei in tutta
risposta e si allontanò – vado subito.
Abram e la madre si accomodarono
finalmente a tavola, ad aspettarli c’erano Adam, con una borsa del
ghiaccio sistemata sulla testa per lenire l’emicrania, e Jacob, con
un colorito verdastro e le setole tutte flosce e non dritte come
sempre.
- Adam – esclamo la padrona di
casa appena seduta – puoi levare la tua borsa, non tollero
qualsivoglia copricapo quando ci riuniamo a tavola.
- Si zia – rispose Adam
mestamente, levandosi l’unica cosa che gli dava un poco di
sollievo.
- Jacob, tu ed Abram oggi
presenzierete al tè delle cinque con me, quindi datevi una ripulita
e sistematevi.
- Madre, come mai la nostra presenza
è cosi importante al vostro tè oggi? Non ce l’avevate mai
chiesto.
- Ora siete adulti, e tu e Jacob
dovrete conoscere una mia cara amica che ha delle figlie in età da
marito.
- Ci volete far fidanzare? – esclamò
Abram terrorizzato dall'idea – con delle persone che neanche
conosciamo?
- Certo, le conosco io, sono due
brave figliole e, se ci accordiamo come penso io, vi porteranno una
bella dote.
- E perché Adam no? – intervenne
Jacob – reverenda zia?
- Oh sciocco, tua madre già lo ha
promesso, meschina, quand'era in fasce a quella che una volta era
una nobile e ricca famiglia, solo che ora gli è rimasta solo la
nobiltà. Erano conoscenti del vostro defunto padre, Atena lo abbia
in gloria, e i vostri genitori credevano che la loro fortuna sarebbe
durata in eterno. Purtroppo chi sale troppo in alto prima o poi deve
scendere, e cosi è stato per loro. Comunque la fidanzata di Adam
conserva un buon titolo, un paio di terreni da far fruttare, e non
manca di grazia e bellezza.
- Evviva – disse Adam sottovoce,
rigirando la forchetta in aria.
- E le nostre – chiese timidamente
Jacob – come sono?
- Ricche, eleganti, con una grande
personalità.
- No dico, come bellezza come sono?
- Jacob, sarò sincera con te perché
ti voglio bene come un se fossi mio figlio, Adam è stato molto
fortunato, ora silenzio e mangiamo.
E con quella sentenza, Jacob e Abram
iniziarono quello che gli sembrò l’ultimo pasto per un condannato
a morte, alle cinque era fissato il loro processo, per l’esecuzione
c’era tempo. Adam, dal canto suo poteva almeno sperare che gli era
capitata una ragazza avvenente, anche se lo spettro del matrimonio lo
terrorizzava a morte. Comunque mangiarono in silenzio, nella fredda
atmosfera glaciale che la loro zia generava quando era di malumore, e
poi si ritirarono nelle loro camere per riposarsi. Abram si chiuse in
camera sua, pensando più agli avvenimenti della giornata che non
all'imminente evento che lo avrebbe visto co-protagonista alle
cinque del pomeriggio, pensava a quella cosa impagliata e
imbalsamata, chi l’aveva fatta e perché? Di chi era? Si immagino
un grosso mostro simile ad un maiale, grande quanto Isaia, ma
scaglioso e con le mani artigliate, grossi denti e occhi famelici. Ma
in qualche strano modo, in qualche angolo del suo cervello sapeva che
il coccodrillo non era cosi. Però se c’era una mano, allora da
qualche parte c’era anche il resto, ma dove, a Prague? Forse. O
sulle montagne dei belanti. I belanti, per tutta la vita ne aveva
sentito parlare, ma non ne aveva mai visto uno. Aveva visto dei
disegni, si, ma mai uno dal vero. Eppure erano li, a poca distanza da
Varsavie, ci voleva un ora buona di cammino a piedi per arrivare
nella loro valle, eppure non c’era mai andato. C’erano strane
leggende su quelle creature, si diceva che facessero delle orge
innaturali, che si accoppiavano con i consanguinei, che i loro maschi
avevano forti corna in grado di spezzare i tronchi degli alberi come
fuscelli, e che, la cosa più abominevole di tutte, mangiassero la
carne suina. Un'altra leggenda parlava della divinità adorata dai
belanti il terribile Dioniso, al quale i belanti sacrificavano i loro
figli. Insomma era quanto di più orrendo e disgustoso c’era al
mondo. Per fortuna si limitavano a vivere sulle montagne, lontano da
loro. Persino i sacerdoti del tempio avevano rinunciato a convertirli
alla religione degli Iam, tanto erano disgustose e perverse quelle
creature. Quelle storie erano vere, si ripeteva fra se, gliele
avevano insegnate a scuola, e poi sua madre gliele ripeteva in
continuazione, aggiungendo sempre nuove empietà al già osceno
quadro in cui si muovevano quegli abomini. Ad allontanarlo da questi
pensieri ci pensò suo cugino Jacob, che irruppe in camera sua come
un fulmine a ciel sereno, prese la sedia dallo scrittoio e si sedette
di fronte al suo letto.
- Allora signor lavoratore, come
usciamo da questo impiccio?
- Dov’è Adam?
- Dorme della grossa, sta ancora
smaltendo la sbronza. Io invece ho dato di stomaco, restituendo il
nostro buon pasto, e ora sono vispo e arzillo come un rodiratto.
- Capisco – Abram si alzò, chiuse
la porta e tornò a sedersi sul letto – senti dobbiamo parlare.
- Si lo so, io non voglio sposarmi,
ho frequentato la gilda dei mercanti per mettermi in viaggio, per
girare le sette città, e tutta la Lorenna se possibile, non voglio
accasarmi ora. Ci sono un sacco di belle figliole che mi aspettano,
e io non voglio deluderle. Non mi va di prendermi la prima racchia
che mi propina tua madre.
- Neanche io ne ho voglia, però ora
è l’ultimo dei miei problemi.
- Alludi a zio Isaia, l'ho visto
stamattina, tua madre era più verde di me quando ha scoperto chi
aveva chiesto di te. E alla mia le è venuto quasi un colpo, neanche
avesse visto Dioniso in persona.
- Immagino, però io oggi mi sono
visto lo stesso con Isaia, e abbiamo discusso parecchio. Non posso
dirti nulla di quello di cui abbiamo parlato, perché glielo ho
giurato sul canto, ma dimmi solo una cosa, tuo padre ti ha mai dato
un coltello?
- Un coltello – Jacob fece un
espressione di sorpresa – no, a me no, magari ad Adam, ma cosa
centra mio padre ora?
- Ascoltami, rispondi solo alle mie
domande, cinque anni fa è successo qualcosa a tuo padre?
- No, nulla che mi ricordi. Anzi si
aspetta, - il ricordo riaffiorò prepotentemente nella testa del
giovane verro - guadagno un sacco di soldi, e comprammo una nuova
casa, quella nel viale dei tigli, dov’è morto. Li guadagno perché
aveva comprato della lana dai belanti.
- E come faceva tuo padre a
conoscere i belanti?
- Diavolo, li conosco anch'io, ma
non dirlo a mia madre ne morirebbe. Non te l’ho mai detto prima
perché era un segreto fra me, Adam e nostro padre, e poi perché
era parecchio che non ci pensavo. - -- Anzi l’ultima volta che ho visto
un belante è stato proprio cinque anni fa.
- Dove sulle montagne?
- No, alla vecchia villa, quella in
periferia. Ti racconto tutto: era notte e io non riuscivo a prendere
sonno, quando senti un rumore al pian terreno. Uscii dalla mia
camera e vidi nel salone sotto la balaustra mio padre e un belante
che parlavano, parlavano in belante, è una lingua strana
strascicata. Riuscii a capire poco qualcosa tipo “la mano non c’è
ancora” e “il tempo della luna”, per il resto era tutto molto
oscuro. Poi il belante se andò e da allora non ne ho visto più
uno.
- E prima?
- Oh prima andavamo noi sulle
montagne dei belanti, ci riunivamo in valle in fondo ad una collina,
e partecipavamo alle loro feste. O meglio, nostro padre festeggiava
con loro, noi bambini restavamo in disparte con i bambini belanti a
giocare. Poi, sei anni fa, avevamo compiuto da poco quindici anni,
partecipammo a una cerimonia in nostro onore, in cui ci furono
offerte delle giovani belanti, beh insomma, si, ci diedero del vino
fatto con l’uva selvatica, mangiammo funghi e altre erbe strane, e
poi ci … insomma … Adam ed io… con quelle belanti … insomma
… noi non possiamo più cavalcare gli unicorni.
- Siete stati con loro? Con delle
belanti?
- Cosa credi, a parte il viso le
orecchie, e quelle piccole corna sulla testa, le belanti sono donne
in tutto e per tutto. Anzi, sembra che pochi maschi belanti hanno le
nostre prestazioni. Vedi per loro fare quelle cose è la cosa più
naturale del mondo. Non hanno tutte le restrizioni, i tabù che
abbiamo noi. Loro sono liberi, vivono a contatto con la natura e si
comportano naturalmente.
- Come animali, mi stai descrivendo
un branco di animali.
- Oh no, loro non sono animali, te
l’ho detto sono liberi. Per questo mio padre beveva.
- Per essere libero?
- No, per trovare il coraggio di
essere uno di loro. Lui adorava il loro modo di vivere, però non
poteva far a meno di essere un cittadino di Varsavie, era
combattuto. Una volta mi disse che in gioventù aveva provato ad
essere un belante, a vivere con loro, ma alla fine non ce la fece ad
abbandonare del tutto la civiltà cosi ritorno ad essere quello di
sempre.
- Certo ci vuole un bel coraggio ad
abbandonare tutto, e ad andarsene a vivere in mezzo ad una foresta.
- Si però a lui i belanti
mancavano, e spesso ci ritornava, e poi iniziò a portare anche noi.
Alla mamma dicevamo che andavamo a caccia, ma poi tornavamo sempre
con le scarselle vuote.
- E poi, cosa successe?
- Non lo so, dopo aver venduto la
lana dei belanti, mio padre cambiò, aveva sempre paura, si guardava
sempre alle spalle, saltava al minimo rumore. E poi beveva ancora
più di prima, almeno cinque litri di birra a notte, rischiando di
rimanerci secco ogni volta.
- E di cosa aveva paura?
- Non ne ho idea. Infine, un anno fà
lui mori e noi siamo venuti a vivere qui, fine della storia.
- O magari è solo l’inizio.
Un lieve bussare alla porta richiamo
l’attenzione dei due verri, e dalla porta sbucò il viso di
Heaster, la cameriera.
- Signorini, la signora vi aspetta
in salotto.
- Arriviamo subito – rispose Abram
– è ora.
- Già e proprio ora.
I due giovani si vestirono con gli
abiti della domenica, si lavarono alla bene e meglio, e poi scesero
in salotto a conoscere la loro sorte. Qui erano riunite la madre di
Abram, sua sorella, la madre dei gemelli, e altre tre signore, tutte
incipriate e imbellettate, ma di ragazze non ce n’era l’ombra.
Abram e Jacob entrarono piano nella stanza e dissero timidamente
all’unisono un sommesso buongiorno.
- Ben arrivati cari – gli fece
melensa la madre di Abram – avvicinatevi miei tesori.
I due ragazzi si disposero ai lati
della sua sedia, Abram a destra e Jacob a sinistra. E notarono subito
che sul tavolino da te facevano bella mostra quattro cornici in
argento, e ognuna conteneva una foto di un giovane. La prima,
alquanto opinabile in quanto al sesso, riproduceva una grassa
caricatura di femmina, tanto che il fotografo si doveva essere
sforzato non poco per farcela entrare tutta li dentro. Era vestita a
festa con un abito bianco e nastri rosa confetto per decorarlo, e in
braccio aveva un piccolo animale che ricordava un rodiratto colorato.
La seconda presentava una foto all’esterno di una villa, in cui una
smunta ragazzina sembrava reggersi in piedi per dispetto alla forza
di gravità, Jacob pensò che per fortuna non c’era stato vento il
giorno della foto, altrimenti se la sarebbe portata via con tutti i
suoi volant rosa. La terza presentava la cosa più orrida che i due
ragazzi avessero mai visto, un robusta ragazza, probabilmente vissuta
in campagna tutta la vita, che a parte il vestito di pizzo nulla
aveva di civile. Addirittura un grosso canino le spuntava dal labbro
e si arricciava lungo la linea della guancia. Abram si ricordò che
alcuni studiosi affermavano che i maiali discendevano da degli
antenati chiamati cinghiali, che avevano appunto quelle zanne
caratteristiche, beh, la ragazza nel ritratto era la prova
inoppugnabile di tale tesi. La quarta al contrario delle altre era
una vera delizia, snella, ben fatta, con delle orecchie aguzze e le
setole lisce e ben tenute, solo che il suo sguardo aveva un che di
minaccioso, quasi cattivo, metteva soggezione al solo vederla.
- Allora . intervenne di nuovo la
madre di Abam – queste due signore sono madri e zie delle ragazze
in foto – disse indicando due delle scrofe sedute a sorseggiare il
tè – mentre la signora qui a fianco è la mia cara amica miss
Jezabel, è lei che mi ha convinto a tenere questo incontro.
- Piacere – disse il terzetto
all’unisono osservando i due ragazzi come manzi al macello.
- Piacere – risposero in coro
Jacob ed Abram, e presero posto.
- Allora – la madre di Abram prese
in mano la foto con la ragazza-cinghiale – per te Jacob avevo
pensato …
- Un momento zia – intervenne
Jacob – non possiamo neanche scegliere noi?
- E perché mio caro? Da che mondo e
mondo sono sempre state le madri a scegliere per i loro figlioli.
- Si, ma se a me non piace –
ribatte Jacob.
- Sciocchino, - cinguettò la zia -
ti conosco da quando eri un lattonzolo, e quindi so cos'è meglio
per te.
- Ma zia …
- Silenzio ora – il tono mieloso
era tornato quello autoritario di sempre – per te ho scelto la
nipote della signora Magda, miss Miriam. Eccola qui, non è una
delizia – disse porgendogli in grembo quell’orrore atavico –
certo è un po’ rustica, ma lo dobbiamo al fatto che vive in
campagna, non ti preoccupare imparerai certamente ad amarla. E poi
pensa che possiede centinaia di capi di bestiame fra mucche e
rattodonti, e porterà in dote almeno un migliaio di pecunie.
- Ma … ma … - Jacob si senti
soffocare al solo pensiero.
- Niente MA! Abbiamo deciso che la
prossima settimana miss Miriam e sua madre verranno a farci visita e
voi vi fidanzerete ufficialmente, in quell'occasione io e sua
madre decideremo la data del matrimonio. Signora Magda voi ci
onorerete della vostra presenza?
- Certamente cara – disse la
grassa scrofa ridacchiando dietro la tazza da tè – non mi priverò
certo di questo piacere.
- Per te invece Abram …
- Ma madre … - accennò
timidamente Abram
- Come ho detto, per te Abram ho
pensato che miss Giovanna sarà adattissima per te – disse
prendendo in mano la foto con la ragazza carina ma cattiva – ecco
qui - e diede la foto al figlio – è un vero giglio, ed è la
figlia della signora Paulette qui presente.
- O caro – aggiunse la signora
Paulette – la mia bambina è un fiore, un giglio delicato, spero
che ne abbiate cura.
- Ma certo mia cara, - rispose la
madre di Abram piena di orgoglio - il mio Abram è un vero
gentiluomo, quando volete che veniamo da voi?
- Anche domani, se a voi va bene.
- Ma certo, e vi dispiace se porterò
con me mia sorella.
- Cero che no, sarà una vera gioia.
- Madre veramente io domani … -
intervenne Abram, cercando di interrompere i convenevoli
- Cosa? – la madre lo fulminò con
lo sguardo.
- Io domani dovrei cercare dei
clienti per il mio lavoro.
- Oh caro – fece la signora
Paulette – com'è giudizioso, non si preoccupi per il lavoro, la
mia Giovanna le porterà in dote almeno 1500 pecunie, e potrete
vivere con noi per tutto il tempo che vorrete.
- Grazie – Abram deglutì e iniziò
a immaginare la sua vita con la figlia della signora Paulette, e
quanti altri abitavano in casa loro.
La riunione andò avanti parlando del
più e del meno, la madre di Abram elogiò le doti del figlio e del
nipote, mentre le signore quelle delle loro congiunte. Cosi Jacob
seppe che la sua promessa era campionessa di corsa col rattodonte, e
che sapeva mungere tre vacche in meno di mezz’ora, un vero record.
La signora Paulette invece elogiò la sua figliola nell’arte del
cucito, dell’uncinetto e nel pianoforte. Cosi Abram si consolò
pensando di doversi sposare una musicista, meglio che mungere le
vacche. Un ora dopo i ragazzi tornarono in camera loro, trovando Adam
seduto alla sua scrivania a sfogliare un libro d'avventura.
- Allora? Come va? Quando vi
sposerete? – disse appena vide il fratello e il cugino.
- Sta zitto – Jacob si buttò sul
letto, e affondo il muso nel cuscino.
- Peggio di quello che credevo, a me
è toccata una suonatrice di piano con lo sguardo omicida e a Jacob
…
- … a Jacob un rattodonte vestito
di pizzo – intervenne il ragazzo da sotto il cuscino – ho un
idea! – Jacob si alzò e si sedette in mezzo al letto – Adam ho
raccontato dei belanti ad Abram.
- Cosa, ma era il nostro segreto,
scusa Abram ma era una cosa fra noi e nostro padre.
- Ti capisco, anche a me sarebbe
piaciuto avere un segreto con mio padre, solo che non ne ho avuto il
tempo.
- Ti ringrazio della comprensione
cugino, e spero che terrai il nostro segreto.
- Certamente, siete come due
fratelli per me e io farei di tutto per voi.
- Finitela con questi salamelecchi –
intervenne di nuovo Jacob – e ascoltatemi, perché non facciamo
l’unica cosa intelligente da fare?
- E cioè?
- Scappiamo, prendiamo armi e
bagagli e scappiamo, raggiungiamo la valle dei belanti e viviamo con
loro.
- Ma ti sei bevuto il cervello –
lo zitti Adam – e che facciamo cambiamo di bacche ed erbe come
loro? Passiamo il giorno a rincorrerci e oziare? Devi essere matto.
- No il matto sei tu – replico
Jacob – io non ho nessuna intenzione di sposare quel mostro, 1000
pecunie di dote o no, non mi và. L’unica cosa è scappare via. Se
non vogliamo andare dai belanti raggiungiamo Prague o Venice, li le
nostre gilde ci aiuteranno di certo.
- Sicuro, dei mercanti senza nome e
senza famiglia, magari nostra madre ci metterà anche le guardie
alle calcagna.
- Ma può farlo? – chiese Abram.
- Certo che può, non abbiamo un
lavoro stabile, è vero che siamo iniziati ma non lavoriamo ne siamo
sposati, e quindi siamo ancora sotto la loro tutela.
- Mio dio, mia madre mi farebbe
inseguire da tutti i dragoni del re se fuggissi.
- Io so che farò, stanotte farò i
miei bagagli e domani, mentre la zia e la mamma andranno a far
visita alla fidanzata di Abram, io me la filo, raggiungo la valle e
vivo coi belanti.
- Ma la smetti di dire idiozie?
- Non sono idiozie, vedrai se lo
faccio fratello.
- E allora scappa con la nostra
benedizione, nevvero Abram, scommetto che fra un paio di giorni
torni qua con la coda fra le gambe. Vivere coi belanti che
assurdità.
- Poi vedrai, anzi vedranno tutti –
e cosi dicendo si stese di nuovo dando le spalle al fratello.
In silenzio Abram usci dalla stanza,
mentre i due ragazzi discutevano, e si avvio nel piccolo studio che
era stato del padre. Qui lo aspettava la sua valigetta, Abram notò
che era aperta e che i vari conti di Isaia erano stati sparpagliati
sulla grande scrivania di mogano. Sicuramente era stata la madre,
aveva rovistato per vedere se oltre a Isaia c’era qualcos’altro
di cui preoccuparsi. Su alcuni fogli erano stati scritti degli
appunti, anzi no, delle frasi prese da testi sacri, come se dovessero
essere esorcizzati. Abram sistemò le carte e si sedette alla
scrivania, intorno a lui i libri del padre facevano bella mostra di
sé e di fronte a lui, sullo stipite della porta, il genitore lo
osservava da un ritratto a olio. Abram aveva sempre pensato che suo
padre in quel quadro avesse un aria pacata, quasi dolce, invece ora
capiva che non era la quiete che voleva trasmettere con quegli occhi
ma la rassegnazione. Il destino lo aveva legato a quell’essere
dispotico e dittatoriale che era la madre, e lui non era
sopravvissuto. Abram si guardò intorno, appoggiò la testa sullo
scrittoio e iniziò a piangere.
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