Siamo già al capitolo quinto, caspita, se penso che devo affrettarmi e continuare a scrivere Abram, altrimenti i capitoli pronti finiranno e io che pubblico? Mah. Qui conosceremo la futura moglie di Abram, e la sua famiglia. E incontreremo di nuovo un personaggio già apparso, e molto molto importante per il futuro del nostro eroe. Ma ora continuate pure la vostra lettura, e buona domenica.
Un ultima cosa, ma vi piace Abram? Vedo che siete sempre quasi sempre le stesse persone a leggerlo, però nessuno dice cosa ne pensa. Non siate timidi, ditemi che cosa ne dite.
Abram era seduto nella mescita di
Isaia, intento ad ascoltare le sue preghiere di non lasciarlo. Era
incredibile ma il grosso oste provava una vera deferenza per il
giovane scrivano, e non sopportava l’idea di perderlo come
contabile. Dal canto suo Abram aveva la morte nel cuore, ancora una
volta doveva sottostare alle angherie della madre, non riuscendo a
ribellarsi. Perdere il suo primo e unico cliente era brutto, ma se
pensava a quello che lo aspettava nel pomeriggio, quello era cento
volte peggio.
- Io capisco, capisco che forse non
sono una persona rispettabile, ma vi prego, non ve ne andate. Ho bisogno del vostro aiuto. Voi contabili non siete cosi tanti qui a
Varsavie, e io non me ne posso permettere uno famoso.
- Vi capisco anch’io mio buon
Isaia, ma non posso farci niente, dovrei scegliere fra voi e mia
madre, e non posso farlo.
- Allora il problema è questo,
accidenti a Dioniso e alle sottane, e se vi prometto di non venire
mai più da voi, se vi dico che vostra madre non mi vedrà più per
tutta la sua vita.
- Isaia, per favore, è doloroso per
me come per voi. Io vorrei ribellarmi a lei, ma non posso.
- Vabbe, allora buona fortuna mastro
Abram, e che Atena vi protegga.
Grazie.
- A proposito, quanto vi devo?
- Nulla, magari la prossima volta
che ci vediamo mi offrirete una birra.
- Spero che sia presto. Addio.
Abram usci lasciando il suo nuovo amico
a mugugnare fra se e a maledire, di certo, sua madre. Fra se quasi
spero che uno degli accidenti di Isaia la colpisse, magari uno
piccolo, ma bene piazzato. La strada dalla mescita a casa sua non fu
mai cosi lunga, tanto il suo passo era lento e strascicato.
- Buongiorno – disse una voce alle
sue spalle. Abram si girò e vide il vecchio sacerdote vestito di
verde dietro di se.
- Buongiorno signor guardiano, vi
ricordate di me?
- Certo mio buon giovane, io ricordo
tutti quelli che entrano nella mia chiesa in cerca di conforto,
allora Atena vi è stata d’aiuto?
- Non tanto, anzi il suo aiuto mi
servirebbe proprio ora.
- Cosa vi turba figliolo, volete
parlarmene?
- Beh padre, per il momento no, in
seguito forse.
- Arrivederci allora.
- Arrivederci.
Il vecchio si girò sui suoi passo e si
allontano nella direzione da cui era venuto, sembrò quasi dirigersi
verso la mescita, evidentemente anche i guardiani di Atena non
disdegnavano una buona birra di tanto in tanto. Abram continuò la
sua strada verso casa, pranzò da solo in quanto la famiglia era
andata a fare compere per il grande evento del pomeriggio. Dopo
pranzo tornò nello studio del padre, e iniziò a leggere il libro di
storia datogli da Moses, solo allora notò una cosa che gli era stata
di fronte per tutta la vita, la loro storia era solo la storia del
regno della Lorenna, da quando re Tommaso si era insediato sul trono
fino ai loro giorni, in pratica erano solo 500 anni di storia. Non
c’era altro, non c’era nessun accenno a cosa era successo prima,
quali regni e quali civiltà c’erano state prima della loro. Abram
posò il libro e iniziò a cercare nell’archivio della biblioteca
qualche altro libro di storia, ma l’unico che trovo parlava solo
del periodo fra l’insediamento di re Giovanni (nipote di Tommaso) e
l’attuale sovrano re Leopoldo, ancora meno tempo. Stette un po’
seduto nella poltrona d’ebano, cercando di capire come mai nessuno
lo aveva notato prima, di certo la gilda degli scrivani aveva pochi
storici, ma nessuno si era mai interessato a prima di re Tommaso? La
cameriera lo richiamò da questi pensieri quando la sua famiglia
rientrò in casa, cosi Abram andò in camera sua e iniziò a
prepararsi per la visita del pomeriggio. Mentre si vestiva fu
raggiunto da Adam, già vestito di tutto punto e scuro in viso come
poche volte lo aveva visto.
- Quell’idiota – disse
all’indirizzo del fratello – quel grandissimo idiota, ha fatto
finta di avere un malore e si è chiuso in camera.
- Allora si è deciso? – chiese
Abram lottando per aggiustare il cravattino.
- Certo che è deciso, pezzo di
stupido, scapperà quando noi andremo dalla tua fidanzata …
- Non è la mia fidanzata.
- Per ora. Quell'idiota ha già
pronto tutto, se le preparato ieri sera, pensa che i belanti lo
accoglieranno a braccia aperte.
- Tu non credi che sarà cosi.
- No. Quelle creature saranno anche
simili a noi, ma vivono con leggi e criteri diversi, e sono
pericolosi, molto pericolosi.
- Senti … - un rumore tintinnante
interruppe il discorso dei ragazzi – dannazione a quella
campanella, dobbiamo scendere.
Una carrozza aspettava il quartetto
fuori dalla casa, la mamma e la zia furono le prime ad accomodarsi,
poi Abram e Adam presero posto, infine il cocchiere diede il colpo di
frusta che avviò il cocchio. Durante il viaggio i ragazzi non
dissero una parola, solo le due donne confabulavano fra di loro
parlando di preparativi e vestiti. La carrozza attraversò la strada
principale di Varsavie, e poi scese per un’arteria secondaria
dedicata a re Leopoldo, da qui raggiunse un quartiere di periferia ma
di gran lusso, tutte le case erano ville con ampi giardini, e
tantissimi digrignadenti si affacciavano ai cancelli urlando nella
loro direzione. Il grido dei digrignadenti era un rauco tossire,
accompagnato dai schiocchi e soffi. Per fortuna quelle bestie erano
dietro i loro cancelli, e i cavalli non se ne preoccupavano
minimamente. Adam si ricordò del loro digrigandenti, un cucciolo
vivace e carino, ricoperto da una folto piumaggio colorato e con due
zampe veloci. Era divertente giocare con lui nel giardino della loro
vecchia casa, ma l’avevano dato via quando si erano trasferiti da
Abram. Finalmente la carrozza si fermò di fronte alla villa della
signora Paulette, e la famigliola scese ad attendere che qualcuno
aprisse il cancello. Uno snello servitore in livrea apri il pesante
cancello, mentre un altro in abiti più comuni teneva un grosso
digrignadenti per il guinzaglio. Il cameriere in livrea fece strada
fino al patio, sotto il quale era stato preparato un piccolo
rinfresco, li c’erano la signora Paulette, la signora Jezabel, un
anziano signore con la pipa, che si presento come il signor Tommaso,
il padrone di casa, e una conoscenza di Abram; l’anziano sacerdote
che aveva incontrato il mattino stesso. Mancava solo la sua promessa sposa,
la signorina Giovanna
- Piacere di rivederla figliolo –
disse il sacerdote.
- Salve padre, come mai qui?
- Oh, il reverendo è un nostro
vecchio amico di famiglia – spiegò la signora Paulette - e
quando ha saputo che la nostra Giovanna avrebbe incontrato il suo
futuro marito ha voluto essere presente.
- Capisco – aggiunse la madre di
Abram – e dov’è la vostra gentile figliola?
- Sta arrivando.
Proprio in quell'istante un rumore
legnoso attirò l’attenzione di tutti, la signorina Giovanna fece
il suo ingresso seduta su una sedia a rotelle spinta da una
cameriera. La sedia fu' portata vicino alla sedia della signora
Paulette, poi la cameriera tornò in casa.
- Allora? – esordì Giovanna -
Quale di questi qua dovrei sposarmi?
- Ma cara – provò a rimbeccarla
la madre – le buone maniere.
- Si, si, buongiorno a tutti –
disse con un tono fra il mieloso e il canzonatorio Giovanna – come
state? - Ben trovati, piacere di fare la vostra conoscenza. Allora,
chi mi volete dare in marito?
- Ecco, vedi tesoro – provò di
nuovo la signore Paulette – questo è il giovane Abram …
- A questo qui con gli occhi da
pesce lesso, peccato quell’altro è più carino – ammiccando ad
Adam – non è che posso avere lui.
- Mi dispiace mia cara –
intervenne acida la madre di Abram – il nostro Adam è già
promesso, si dovrà accontentare del mio Abram.
- Ah, voi siete la mia futura
suocera, piacere, almeno vedo che siete una persona di carattere, mi
piacete. Posso scambiare due parole col mio futuro marito?
- Ma cara, vedi – provò a dire
qualcosa la signora Paulette.
- Non vi preoccupate, - rispose la
madre di Abram – ragazzo mio accompagna la signorina Giovanna dove
vuole.
- Si, io, certo.
Abram si alzò e provò a spingere la
carrozzella della ragazza.
- Andiamo dentro – comandò lei, e
cosi entrarono nella grande villa – qui andrà bene – Giovanna
aveva condotto il giovane verro in un salotto con divani e poltrone
rosse. Abram la sistemò vicino ad una poltrona e si sedette di
fronte a lei – Ora state bene a sentire – iniziò – io ho
poca voglia di sposarmi, forse meno di voi, e se credete che possa
darvi figli scordatevelo. L’incidente che ho avuto me lo
impedisce. Certo ho una bella dote, e non ho sorelle ne fratelli,
quindi tutto quello che vedete è mio, e mio rimarrà. Se mi sposate
accontentatevi di fare, come si dice, a si, il principe consorte,
non pensate di accampare diritti su ciò che è mio, capito?
Abram si guardò in giro, e sospirò.
- Mi avete capito – lo incalzò
lei – allora?
- Si, si, sentite a me non importa
che voi siate ricca, che avete terre o denaro, io sono scrivano e ho
il mio lavoro, e se pensate che vi sposo per interesse vi sbagliate.
Io non vi conoscevo, è stata mia madre a combinare tutto questo.
- Lo immaginavo, non sembrate il
tipo che prende iniziative, e forse per questo già mi potreste
andare a genio. Forse dovevo parlare con vostra madre e non con voi.
- Sentite miss Giovanna, io … io …
non so cosa dire, lei ed io dobbiamo sposarci, volenti o nolenti,
quindi potremo almeno cercare di andare d’accordo e di conoscerci
meglio, no.
- Certo, lei ha ragione, signor …
Abram vero?
- Si.
- Allora signor Abram voi siete
scrivano contabile, quindi è tutto qui, voi contabili non avete che
amore per i vostri numeri e le vostre scartoffie, e io detesto tutte
e due. Vi piace qualche altra cosa?
- I libri.
- Bene, mio padre ne ha di vecchi e
polverosi in una stanza, credo, spero che non me ne porterete altri
in casa che non sopporto neppure quelli. Vi piace la musica?
- Veramente …
- Male, io suono, e anche molto
bene, portatemi vicino al piano – disse indicando un pianoforte in
un angolo della stanza.
Abram la accompagnò vicino alla
tastiera, Giovanna prese uno spartito e iniziò a studiarlo.
- Ora sentirete – e cominciò a
suonare.
Sebbene lo spartito non era difficile,
Giovanna prese diverse stecche e sbagliò diverse volte il tempo.
Abram ne approfittò per osservare la stanza. Oltre al divano e al
piano, su una parte faceva bella mostra di se un camino riccamente
decorato, e sulla mensola diversi ninnoli. Abram fu attirato da una
campana di vetro al cui interno era riposto una specie di dito. Il
ragazzo si avvicinò per osservarlo meglio, e noto che il dito era
simile a quello della mano imbalsamata conservata da Isaia. Alla base
della campana c’era una piccola targhetta d’ottone su cui era
iscritto “Gaviale”, un'altra parola misteriosa da aggiungere a
tante altre.
- Vi interessano i miei cimeli? –
fece una voce alle sue spalle, si girò e vide il padre della
ragazza in compagnia del sacerdote – penso che dovremo parlarne.
- Padre, ma cosa?
- Giovanna raggiungi le signore sul
patio, per favore.
- Ma io.
- Vai! - rispose fermo il signor
Tommaso.
La ragazza stavolta usò le sue braccia
per uscire dalla stanza, e facendolo sbatté la porta alle sue
spalle.
- Vi volete accomodare? – disse il
vecchio sacerdote sedendosi su una poltrona – le mie ossa non mi
reggono più in piedi.
Abam e il padrone di casa si sedettero
sul divano, cosi che il ragazzo si trovò fra i due uomini.
- Allora – continuò il guardiano
– cosa ne pensate della nostra Giovanna, mio caro Abram?
- Un poco vivace …
- E del dito del coccodrillo? –
aggiunse il signor Tommaso.
- Dito del coccodrillo? Quale dito …
- Non faccia cosi Abram, ragazzo
mio, ho visto benissimo che guardava il dito del coccodrillo li sul
camino, lo tengo la apposta, per vedere se fa colpo su qualcuno,
diciamo che lo uso come esca.
- Esca?
- Si per prendere i pesciolini
troppo curiosi – continuo il guardiano – mio caro tu sei venuto
da me l’altro giorno, hai chiesto del coccodrillo e poi sei andato
via. Vieni qui e il signor Tommaso mette in bella mostra un dito di
coccodrillo, e tu ti precipiti a guardarlo. Andiamo, tu sai cos’è
un coccodrillo, non è vero?
- No signora, - rispose Abram –
onestamente non ne ho la minima idea. Se l’avessi saputo, perché
avrei dovuto chiederlo al reverendo guardiano?
- Anche questo è vero, - replicò
il guardiano - però già il fatto che tu hai notato quel dito, vuol
dire che sai com’è fatto, o perlomeno sai che quello è un suo
dito. Come mai?
- Io, beh io … - Abram richiamò a
sé tutte le sue forze, pur di non spezzare il giuramento fatto ad
Isaia - vorrei ma non posso dirvi altro, mi dispiace.
- Allora dovremo farti arrestare. –
aggiunse il guardiano.
- Come, perché?
- Vedi figliolo – intervenne
Tommaso – i coccodrilli sono un pericolo per noi, e chi sa troppo
di loro è un pericolo altrettanto grande. Allora, dicci, preferisci
mantenere il tuo segreto o finire in prigione?
- Ma io non capisco, cioè perché è
cosi importante per voi.
- Vedo che sei ostinato – Tommaso
prese un sacchetto col tabacco dalla tasca della giacca e preparo la
pipa, l’accese e ne tirò una boccata – mio caro giovane, il
problema è semplice, e credo che sia meglio giocare a carte
scoperte, voi siete uno scrivano, vero?
- Si certo.
- Contabile?
- Certamente.
- E avete il vostro canto e tutte
quelle cose li, vero?
- Come tutti.
- Bene, quanti scrivani credete che
ci siano a Varsavie?
- Non saprei, cento?
- Sono circa centocinquanta, e
quanti di loro hanno chiesto o indagato sul coccodrillo? Uno solo,
voi.
- Ma … non capisco, è cosi
evidente.
- Si, ma non importante, voi siete
uno storico?
- No, ma ho letto un paio di libri
in proposito.
- E vi sembra strano che tutta la
nostra storia si riduce a soli cinquecento anni, vero?
- In effetti mi sarei aspettato
qualcosa di più.
- E mastro Moses è stato un vostro
maestro vero?
- Certo.
- E vi ha raccontato la sua teoria
sugli Iam e sui coccodrilli, non affannatevi a rispondermi, lo
sappiamo che l’ha fatto. Mastro Moses è un testardo, e spero che
non farà più un errore del genere, anzi non lo farà di certo. Lui
vi ha raccontato che i coccodrilli forse sono creature che popolano
altri mondi, altri … come si chiamano … sistemi solari, e se vi
dicessi che loro sono più vicini di quanto pensiate?
- Tommaso, forse non è il caso di
dirgli tutto.
- No padre non tutto, avete ragione,
il segreto che noi custodiamo – rivolgendosi ad Abram – a molti
è costata la vita, ma siccome ho preso impegno con vostra madre di
farvi maritare con mia figlia, beh spero che vi aiuterà a stare
dalla nostra parte, e non da quella di chi lo spanderebbe ai quattro
venti. Dicevamo, immaginate che i coccodrilli siano più vicini di
quello che pensiate, anzi che uno in particolare sia molto vicino a
noi. Immaginate una creatura in grado di causare una distruzione
assoluta, un mostro di proporzioni apocalittiche, una creatura fuori
dalla grazia di Atena. E credetemi che questa creatura è nascosta
sul nostro mondo, anzi nella nostra regione, in uno stato in cui non
può nuocere a nessuno. Ora, molte sue parti sono sparpagliate per
tutta la Lorenna, un dito qua in casa mia, un piede a Prague, un
occhio a Odesse, e se lui le recuperasse potrebbe tornare a vivere
seminando distruzione e morte. Sembra impossibile, fantastico,
eppure è cosi. Il coccodrillo è la peggior creatura che esista
nell’universo.
- Si ma perché non dirlo?
- Perché sarebbe il caos, il caos
totale e assoluto. Ci sarebbero persone che inizierebbero a
cercarlo, a radunarne i pezzi, e forse qualcuno riuscirebbe a
riportarlo in vita.
- Ma tutto questo è assurdo,
riportare in vita una creatura fatta a pezzi non è assolutamente
possibile.
- Oh no – il reverendo assunse un
espressione estremamente seria – c’è stato un tempo in cui
tutto questo è già successo: l’ultima volta che il coccodrillo è
tornato a vivere è stato più di cinquecento anni fa. Distrusse la
civiltà che c’era allora, e solo con l’aiuto di Atena quel
mostro fu distrutto e noi potemmo ripartire da zero. Per questo i
vostri libri di storia non parlano di quel tempo, è stato vietato
dalla legge.
- Ora, mio caro figliolo avete due
possibilità, o mantenete il segreto, e magari in seguito, dopo il
vostro matrimonio, entrerete a far parte del nostro piccolo circolo;
oppure domattina i gendarmi verranno a casa vostra e vi porteranno
via in catene. Non preoccupatevi per l’accusa, ne troveremo
sicuramente una.
- Io credo che …
- Oh, non preoccupatevi per mia
figlia, farò in modo che le sue parole restino chiacchiere di una
ragazzetta, naturalmente amministrerete voi i suoi beni, e non lei.
Io ho sempre sentito il desiderio di un maschio in famiglia, e spero
che sarete voi.
- Allora, che dirvi, domani avrete
la mia risposta.
- Spero che fino a domani avrete
l’accortezza di tenere la bocca chiusa – aggiunse il vecchio
guardiano con tono minaccioso.
Il ritorno in carrozza fu peggio
dell’andata, per Abram si preparava una stagione di guerra aperta
con la sua futura moglie. Il ragazzo sapeva bene che non avrebbe
permesso al padre di dargli quello che gli aveva promesso, e
d’altronde a lui non interessava affatto amministrare i beni del
signor Tommaso. Inoltre essere sposato con una tale furia non era
certo quello che aveva sognato per sé. Di fronte a lui sua madre lo
guardava e sorrideva, i suoi piccoli occhi aguzzi trasudavano
felicità, certamente pensava al bel colpo che aveva fatto
imparentandosi con la famiglia del signor Tommaso. Un matrimonio del
genere le avrebbe aperto le porte dell’alta borghesia, e i salotti
di tutta Varsavie, cancellando l’onta di aver avuto zio Irwing
l’ubriacone come consanguineo. Certo l’alternativa non era
migliore, ma quanto erano potenti Tommaso e il guardiano di Atena per
farlo andare in prigione cosi, senza motivo? Certo molto di più di
quanto sembrava all’esterno, Tommaso era ricco, ma non nobile, e di
certo non era imparentato col re. Addirittura si erano concessi il
lusso di lasciarlo andar via, come sapevano se lui avrebbe mantenuto
il segreto o meno? Certo sapevano del colloquio fra e lui e Moses,
magari uno dei custodi o degli inservienti aveva fatto la spia. Forse
anche in casa sua c’era una spia, magari era Heaster, o la
ragazzina che aiutava in cucina. Chissà di chi poteva fidarsi? Verso
la fine del viaggio gli balenò nel cervello l’ennesimo pensiero: e
se Irwing fosse morte a causa del coccodrillo, se la cosa che aveva
portato Moses da Prague era un altro pezzo del coccodrillo, e loro lo
sapevano. In fondo era semplice, Moses e Irwing avevano venduto un
pezzo del coccodrillo ai belanti, loro lo avevano saputo e avevano
cercato di prendere Moses prima che vendesse anche la mano ai
belanti. Loro, il guardiano, il signor Tommaso, e chissà chi altro,
erano le misteriose persone che proteggevano un segreto cosi
terribile a costo della morte: i giudici oscuri. Con questo pensiero
nella mente, Abram senti il suo corpo iniziare a tremare, e forti
brividi gli percorsero la schiena.
- Hai freddo Abram? – chiese la
madre quando si accorse del cambiamento del figlio.
- No, madre, no, vi ringrazio. Sono
solo un po’ stanco, sapete le emozioni della giornata.
- Giusto, ora cenerete e andrete
subito a letto.
- Spero che Jacob stia meglio –
intervenne la zia.
- Certamente sorella, vedrai che tuo
figlio ci starà aspettando già a tavola.
Sfortunatamente Jacob era sulla strada
per le montagne, aveva preso i suoi pochi averi, qualche libro e
qualcosa da mangiare ed era andato via. Nel pomeriggio era uscito di
soppiatto e si era diretto verso la zona est di Varsavie, si era
fermato ad una stalla e, con un pendaglio della madre, aveva comprato
un mulo e si era lasciato le mura cittadine alle spalle. Aveva
percorso in un ora la strada attraverso i prati e i boschi, e una
volta ai piedi delle montagne dei belanti, aveva liberato il mulo e
si era inoltrato a piedi. A casa un biglietto in bella vista diceva
solo che Jacob era andato via, senza dire ne dove ne come, era stato
posto in bella vista sulla tavola ed era stato letto da Heaster, che
ora aspettava tremante il ritorno della sua padrona. La povera
domestica quasi trasalì quando senti bussare all'uscio della
porta, e iniziò a piangere a dirotto quando si trovò davanti la
madre di Abram.
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