Scrivere

Altro "racconto della notte", anche se vedo che non raccolgono tantissimo successo, rispetto a quelli "normali" o più lunghi. Questo in particolare non era proprio scritto di notte, e ha molte influenze pirandelliane o, se proprio vogliamo dare a Cesare quel che è di Cesare, ortolaniane (per chi non lo conoscesse Leo Ortolani è l'autore di Rat-Man, un fumetto fantastico che consiglio a chiunque di leggere). 
Devo ammettere che rileggere ora questo racconto mi fa uno strano effetto,

Voglio scrivere qualcosa di bello, perché so di esserne capace. Non che sono presuntuoso, vedete, io so di saper scrivere bene, però tutto ciò che mi esce fuori sono sogni adulterati di morte e distruzione. Non riesco a scrivere d'amore, a meno che non sia sofferto e tormentato. Non riesco a trovare le parole per descrivere un fiore, solo quelle per spiegare un’esplosione. Sul serio, ci provo e ci riprovo, ma non mi viene. Una volta ho scritto qualcosa per una mia amica, mi sono dovuto sforzare per non cadere nel tranello del cyberpulp. Cyberpulp, l'ho inventato io sapete, è il peggio del pulp e del cyberpunk, una narrativa oscena e tecnologica, completamente senza limiti, al cui confronto lo splatterpunk è roba da educande.

Se vedo un tramonto immagino il sole che cade sulla terra, incendia tutto, e distrugge la civiltà umana. Poi pochi sopravvissuti si arrabattano per continuare a vivere in un nuovo mondo senza sole, sottoterra, vicino al cuore caldo della Terra. Qui vivono sordi e ciechi per migliaia d'anni..... Bello come inizio, ma patetico. Non vale nemmeno la pena pensarlo.

Non ci riesco, non riesco a scrivere proprio niente di solare, di luminoso, tutte le mie storie sono angoscianti, tenebrose, oscure, maledette. No, non c'è pace né per me, né per i miei personaggi. Poverini, una volta è la fine del mondo, un altra volta è un invasione aliena, un altra ancora qualche guerra dentro di loro. No, come per me, neanche per loro c'è pace. Vorrei tanto scrivere uno di quei bei mattoni di 600 pagine, pieni d’amore e passione, con un finale strappalacrime, e a tarallucci e vino, ma non ci riesco. Qualcosa non va, forse è colpa di Lovecraft. Si H.P. con tutti i suoi dei e mostri inumani, con la sua angosciante visione del mondo e del cosmo, m’ispira sempre, in ogni cosa che faccio.

Ballo, danzo, mi diverto, scherzo, parlo e amoreggio. Ma c'è sempre qualcosa che non va’. Corro avanti e indietro, ululo alla luna, poi torno a casa, faccio una doccia, e sono di nuovo qui. Di fronte ad un word processor che non vuole saperne di funzionare, di ispirarmi. Forza, bastardo, ti ho insegnato tante parole, che due potresti tirarle fuori da solo. Cane di un programma, è bravo solo a conservare, se ti deve dare qualcosa è più tirchio di Paperone. Fumetti, forse dovrei scrivere quelli, in fondo è facile, c'è un eroe, un cattivo, tanti cazzotti, e delle ragazze discinte. No, in mano a me il buono sarebbe il cattivo, il cattivo si pentirebbe, e le ragazze discinte tutte lesbiche.

La cosa peggiore poi sono i personaggi di cui non ho scritto. Ho paura che, come con Pirandello, un giorno li vedo alla mia porta desiderosi che io finisca la loro storia. Magari bussano alla mia porta, mia madre li fa’ accomodare, e loro aspettano seduti in soggiorno che io finisca le loro vite letterarie.
Spesso penso di essere il dio unico di un universo in pena, attraverso di me le loro vite prendono forma, e io mi diverto a raccontarle. Mi chiedo se sono veramente io ad inventarle, o loro inventano me per farsi raccontare.

Forse dovrei fare come R. E. Howard, ma qui non ci sono deserti.

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