Inizio a pubblicare a puntate (si credici) un mio racconto lungo (non ce la faccio a usare la parola Romanzo, è troppo impegnativa) di nome Abram. Qualche precisazione, Abram è un racconto di fantascienza, non si ambienta sulla Terra, ne su un altro pianeta del sistema solare. E' ambientato in un futuro lontano, e i protagonisti sono indirettamente originari della terra. All'inizio doveva essere un racconto sulla voglia di libertà e di indipendenza del protagonista, ma via via è diventato qualcosa di diverso. Spero che vi piaccia, e fatemi sapere cosa ne pensate.
Fermo davanti
alla porta della mescita, le gambe di Abram non smettevano di
tremare, tremavano cosi forte, che temeva che sarebbe caduto al primo
passo, la voglia di girarsi e scappare via era forte, fortissima, un
fiume in piena che montava dentro di lui, ma ormai era li. Adam e
Jacob, dal canto loro si sistemavano il bavero del vestito e il
colletto inamidato, e non vedevano l’ora di aprire quella porta,
anche se per loro non era la prima volta. Un infinita di volte erano
andati li a raccogliere il padre da sotto un tavolo, o dalle sottane
di una delle cameriere. E spesso il vecchio Irwing aveva portato
Jacob, ancora bambino, con sé a fargli recitare poesie sconce e
barzellette ai vari avventori, per racimolare qualche soldo e berselo
in pace. Ma ora era diverso, ora tutti e tre erano degli uomini, e
potevano tranquillamente entrare, sedersi e ordinare da bere, senza
il pericolo di essere cacciati dall’oste o, peggio ancora, dalle
guardie del paese. La mattina era iniziata con la più ricca
colazione che avessero mai fatto in vita loro, poi c’era stata la
preparazione nel tempio, e infine l’iniziazione alla vita adulta.
Poi coi loro testimoni erano andati nei locali delle rispettive
gilde, e lì i maestri anziani gli avevano consegnato il canto
segreto della gilda, da custodire gelosamente sempre con loro. Infine
erano tornati a casa e avevano indossato i loro vestiti da adulti,
per poi cenare con tutta la famiglia. Ma ora, ora era il momento di
concludere quella giornata memorabile con l’affermazione della loro
raggiunta maturità: la prima, vera bevuta in una mescita di birra, e
loro avevano scelto quella che conoscevano meglio: la birreria di
Joseph. Veramente la conoscevano bene solo Adam e Jacob, al massimo
Abram ci aveva dato un occhiata fugace dalla porta mentre si recava
al lavoro, e sempre di buon mattino e mai di sera. Ma ora erano li,
tre giovani virgulti della media borghesia di Varsavie, pronti ad
assaggiare il mondo, e quello era il primo morso. Finalmente Adam
sblocco la situazione, diede una sonora pacca sulla schiena del
cugino, e Abram cadde verso la porta, aprendola ed entrando di botto.
Mentre cadeva, per fortuna, fu preso al volo dai cugini, evitando di
capitolare sul pavimento, e vide il mondo tanto agognato. Nel
complesso era come se lo aspettava: un camino nell’angolo, con
vicino un vecchio ubriacone, il banco con il grasso oste dietro,
munito di pezza e grembiule, e tavoli e avventori tutti intorno.
Mancavano però le donne lussuriose e mezze nude, di
cui la madre lo aveva messo in guardia fino alla nausea che
avrebbe trovato e che doveva evitare; al loro posto c’erano solo
due cameriere, e neanche troppo avvenenti. Adam e Jacob lo
trascinarono fino ad un tavolo libero, un posto tranquillo
nell’angolo, e si accomodarono tutti e tre. Quasi subito la
cameriera si fece vicino a loro, e iniziò a guardarli in modo
indagatore.
- Che mi prenda un accidenti –
esclamò – voi due avete un viso familiare, però non conosco
nessuno tra voi signorini.
- Lascia perdere gli accidenti –
esclamò Jacob - normale che non ci riconosci Miriam, siamo un po’
cresciuti dell’ultima volta che ci siamo visti.
- Infatti – continuò Adam –
fino a qualche anno fa potavamo i calzoni corti, e ora abbiamo dei
bei pantaloni, che quasi puliscono il pavimento.
- Dannazione – la cameriera iniziò
a grattarsi la cuffietta che portava in testa – non ci riesco
proprio, ma avete un aria dannatamente familiare.
- Senti Miriam – intervenne Jacob
– la sai quella del vescovo e della caccia ai conigli?
- Che mi prenda un colpo – negli
occhi di Miriam si accese come una luce – voi siete i due pargoli
di Irwing, che Dioniso vi porti, vi siete fatti due bei giovinotti,
sentite e il vostro vecchio come sta? Gli è passato il mal di
fegato?
- Purtroppo no, il mal di fegato se
le portato via, e morto da più di un anno.
- Accidenti, mi dispiace, era un
buon verro nonostante tutto, un ubriacone incallito come pochi, ma
un buon verro. HEI – Miriam si girò di scatto nella direzione del
banco – Isaia, accidenti a te, prepara tre boccali di quello
buono, ci sono i figli di Irwing a questo tavolo e il primo giro
glielo offro io.
In tutta risposta l’oste uscì da
dietro il bancone, e si avvicino a grandi passi al tavolo dei tre
ragazzi, Abram ebbe un sussulto a vedere quella montagna di carne
andare verso di loro, pensò che forse aveva un conto in sospeso col
suo defunto zio e che ora voleva regolarlo con loro.
- Dovrà ghiacciare l’inferno –
disse Isaia una volta che fu vicino al loro tavolo – se ti faccio
offrire il primo giro a questi ragazzi, il primo giro è un mio
privilegio, e ai figli di Irwing offrirò anche il secondo. – poi
si girò verso il resto della clientela allargò e le braccia e
gridò – sentite, sentite tutti, ora vi offro un giro gratis,
questo va alla salute di un grande amico che non c’è più, e ai
suoi figli che sono qui stasera.
Tutto il locale esultò dalla
contentezza, senza farsi troppe domande su chi fosse il destinatario
del brindisi. Raramente Isaia offriva qualcosa, ed era meglio
approfittarne quando si poteva.
- Ora alza la sottana, e inizia a
fare il giro – tuonò Isaia verso Miriam – io mi trattengo un
poco qui. – e cosi dicendo si sedette vicino ad Abram – allora
ragazzi, cosa vi porta in questa bettola? Ma un momento, voi siete
tre, ma Irwing aveva solo due ragazzini, chi è di più?
- I…io signore – balbettò Abram
– io sono loro cugino, il nipote di Irwing.
- Qua la mano ragazzo – Isaia
prese la mano di Abram in un lampo e gliela strinse cosi forte da
farla diventare viola – sei dello stesso sangue di Irwing e amico
dei suoi figli, quindi sei il benvenuto. Hei ragazzi ditemi, come
mai siete venuti solo ora a trovarmi? Eh? Quella vecchia sottana di
vostra madre, santa donna, come sta?
- Bene, bene, hei signor Isaia –
Jacob si avvicino il più possibile al grosso oste – ti ricordi
quando venivamo qui da piccoli, e ti chiamavamo zio?
- Diamine se me lo ricordo, tu sei
Jack, il piccolo Jacob, dannato furfante, eri un piccolo rodiratto
allora e sei sempre scaltro, o almeno cosi mi dicono i tuoi
occhietti, e tu sei Adam, oh Adam, diamine, eravate due lattonzoli,
e ora siete due verri belli forti, che Dioniso mi porti ragazzi, il
tempo passa e il vecchio zio Isaia presto raggiungerà il vostro
beneamato padre. – intanto Miriam era arrivata con la birra – ma
non pensiamoci ora, in alto i boccali, e se Dioniso, la morte o chi
per loro mi verrà a cercare mi troverà cosi ubriaco che mi dovrà
portare di peso sulle spalle, e questo non lo auguro a nessuno,
salute.
- Salute
- Salute
- Sa…salute.
E cosi il terzetto e l’oste
iniziarono a bere. Dopo i primi due giri Isaia si alzò e tornò al
bancone, lasciando i tre cugini a gozzovigliare con la birra e
qualche pasticcio di verdure che si erano fatti portare. Isaia li
osservava dal bancone, e notò subito che Abram era l’unico che si
tratteneva, bevevo poco, mangiava molto, e il suo boccale toccò il
fondo solo una volta. I due fratelli invece, diedero fondo a tutta la
loro ingordigia, bevendo quasi quattro litri di birra a testa, e
ubriacandosi quasi fino allo sfinimento. Più tardi, a sera fatta,
Isaia si avvicinò di nuovo al loro, Adam ormai era andato e giaceva
riverso sul tavolo, dormendo il sonno pesante di chi è andato nel
paese dei beoni, mentre a Jacob mancava poco per raggiungerlo. Isaia
si sedette di nuovo vicino ad Abram, portando con se un boccale di
birra scura.
- Mash…tro Isaia *hic* -
singhiozzò Jacob – mash...tro Isaia, la vostra è la birra più
buona che ho mai bevuto in tutta la vita, però ora devo mesciere
anch’io qualcosa *hic*, mi indicate dove sta il bagno – disse
cercando di mettersi in piedi.
- Eccolo là – Isaia indicò una
porta in fondo alla sala – non ti puoi sbagliare piccolo Jack.
- Grascie, la mia vescichia ve ne
sciarà eternamente riconosciente – cosi dicendo e iniziò a
barcollare in direzione della porta.
- Allora mastro Abram, non vi è
piaciuta la mia birra?
- O molto Isaia, ma datemi del tu vi
prego.
- Oh no, non posso, vedete io
distinguo le persone in due gruppi quelli a cui dare del tu e quelli
a cui dare rispetto, e un giovanotto di buon senso come voi merita
molto rispetto. Mi dispiace per i vostri cugini, sono dei bravi
ragazzi ma il loro vizio è di famiglia. Oh non fraintendetemi, mi
riferisco solo a loro padre, non a vostri genitori.
- La ringrazio, e lo so, i miei
cugini sono bravi, ma non hanno il senso della misura. Per me un
boccale è anche troppo, e mi sento leggermente brillo. Non
offendetevi se non ho continuato.
- Mi sarei offeso se lo avreste
fatto, significava che avevo sbagliato con la mia prima impressione
su di voi. Comunque sono contento. Ditemi mastro Abram, cosa fate
voi nella vita?
- Io, veramente proprio oggi mi
hanno consegnato il canto segreto degli scrivani, e da domani dovrei
iniziare la mia attività.
- Siete un poeta o uno scrittore,
magari uno storico.
- No, no, nulla di tutto questo,
sono molto più modesto, sono un contabile, so far di conto, nulla
di più. Non ho le propensioni artistiche di altri nella mia gilda.
- Oh, e già avete dei clienti?
- Veramente no, il mio padrone,
mastro Tobias, dove ho fatto l’apprendista, non mi ha permesso di
portarne, cosi dovrò iniziare da zero.
- Perdincibacco, mastro Abram, io
tengo un po’ di contabilità nel locale, ma non sono molto bravo,
perché non mi prendete come cliente, in cambiò, oltre a quanto
dovuto vi offrirò da bere quando vorrete.
- Vi ringrazio, la vostra offerta mi
lusinga, ma non so se sono in grado.
- Si che ne siete in grado, siete un
giovane dallo sguardo intelligente, e sarete sicuramente in grado di
tenere la contabilità della mia bettola.
- Ma io … e va bene, però mi
pagherete solo il dovuto, niente extra, se vorrete offrirmi qualcosa
lo farete per amicizia, non perché me lo dovete. Accettate?
- Che io sia dannato, certo che
accetto, qua la mano.
Cosi la mano di Abram tornò ad essere
viola un'altra volta, ma lui aveva trovato il suo primo vero cliente.
Quella sera, dopo aver riportato a casa i suoi cugini, ed essersi
preso una sonora ramanzina dalla madre e dalla zia per il loro stato,
Abram si ritrovo nella sua stanza, accese il lume e iniziò a
studiare il canto segreto degli scrivani.
“La
più grande professione è quella dello scriba.
Il
muratore è spesso malato, perché esposto a tutti i venti sulle
travi e sulle impalcature, le braccia gli si stancano per il lavoro,
i suoi abiti sono in disordine e si lava una volta al giorno.
Il
fabbro ha le dita rugose come scaglie di un coccodrillo ed è
maleodorante come un barile di pesce.
Il
vasaio intristisce nel fango; la terra lo sporca più di una patata.
Il
falegname, finita la giornata, deve continuare a lavorare tutta la
notte fino a spezzarsi le braccia.
Il
barcaiolo è divorato dalle zanzare.
L’ufficiale
è arruolato da ragazzo e chiuso in caserma; la corazza gli fa una
piaga sul ventre, l’elmo gli apre un'altra piaga sull’occhio.
Rivolgi
quindi il tuo cuore allo studio delle lettere; chi ha imparato a
farne tesoro fin da piccolo è onorato e a lui si affidano missioni
importanti. In tutti i mestieri si ha un superiore, men che in quello
di scrivano: chi comanda è lui”
Era questo, finalmente il canto
segreto, il più geloso tesoro degli scrivani. Ogni apprendista che
lo conoscesse poteva dire di essere uno scrivano, e gli scrivani
erano pochi veramente pochi. Specie quelli che oltre a scrivere
sapevano fare di conto, come lui. Quello che diceva il canto era
vero, non c’erano padroni per gli scrivani, clienti si, apprendisti
si, ma nessun padrone. Certo, molte persone sapevano leggere e
scrivere, ma senza conoscere il canto segreto non erano scrivani, ne
potevano accedere alla gilda e alle possibilità che dava. Però
c’era qualcosa che ad Abram saltò all’occhio, o meglio due. Nel
canto si nominavano degli animali che non conosceva, il coccodrillo e
le zanzare, non aveva dimestichezza con questi nomi, anzi gli
sembravano alieni. E poi c’era una discordanza, una grossa
discordanza: “il vasaio si sporcava come una patata”. Nei suoi
studi sull’armonia del testo, il suo maestro gli aveva ripetuto
all’infinito che le allegorie dovevano o essere tutte simili, o
tutte diverse. Cioè, se chi aveva scritto il testo aveva iniziato a
paragonare i vari lavori a degli animali o nel testo si nominavano
sempre degli animali, il paragone con la patata era alquanto
disarmonico. Si parlava di quegli strani animali, poi di pesce, e nel
bel mezzo di una patata. Nella mente di Abram, poi, i muratori si
sporcavano di malta, di polvere, al massimo di vernice, non certo di
terra come le patate. Forse il testo era stato redatto in un tempo
molto remoto, magari prima delle leggi artistiche sull’armonia
della forma, e per questo c’era la patata. L’indomani sarebbe
andato a chiedere chiarimenti al suo maestro nella gilda, per il
momento chiuse gli occhi e si addormentò.
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