L'effetto "Signore degli anelli"

(C) Lee Alan 

In Italia in questi giorni arriva "John Carter", il uovo film della Disney. Ai più il nome John Carter può far venire alla mente un dottore del piccolo schermo, ma per chi come me ha comprato anni fa i mitici "100 pagine 1000 Lire", specie la collana dedicata al Fantasy, sa che John Carter è il signore della Guerra di Marte, un signore che dove lo mettete sa tutto lui, fa tutto lui, è superfigo, è fortissimo, e ammazza centinaia di nemici tutto da solo. Insomma, avete presente Fonzie, pensate a Fonzie come un guerriero barbaro e avrete una pallida idea di John Carter.

John Carter è il protagonista di una serie di libri scritti da Burroughs (se anche questo nome non vi dice nulla sappiate che è il signore che ha creato Tarzan), il quale è un ex soldato sudista, che improvvisamente si ritrova su Marte senza sapere ne come ne perchè. Il Marte di John Carter però è diverso dal nostro, è rosso e arido, ma popolato da mostri con 6 o più arti, razze barbare quadrumani come i Tarkas, rossi come la razza di Dejah Toris (bellisima, coragiosa e sempre in giro seminuda), e poi con l'andare dei racconti usciranno marziani gialli, bianchi e neri. Anche il nome di Marte è diverso, il nome del pianete nel linguaggio autoctono è Barsoom. Ma se volete più notizie vi consiglio di leggere il wiki a lui dedicato John Carter.
La cosa di cui volevo parlare è un'altra, l'uscita di John Carter mi fa venire alla mente un altro film grandioso, ispirato a un opera letteraria maestosa: Il Signore degli anelli, o meglio i tre film girati sul ciclo di Tolkien.

Prima che uscissero i film, se io parlavo vicino a qualcuno di Tolkien, o meglio della Terra di Mezzo, mi prendevano per scemo. Se cominciavi a parlare degli Elfi o dei Nani, nessuno ti pensava, a parte pochi illuminati, ma io parlo delle persone comuni. Gli stessi libri di Tolkien erano presi per libri per l'infanzia, perché secondo il pensiero comune i anni e gli hobbit erano cose da bambini. Dopo il primo film tutto cambiò, dalla sera alla mattina a Tolkien venne tributato il giusto titolo di genio del fantasy, la sua opera rivalutata, e tutti apprezzarono i film. Ora, all'epoca c'era una persona che mi stava sui cabasisi, e pensata che giramento di stomaco quando sentii che diceva: "si ho visto il film, ora però mi voglio comprare anche il libro". Che voltamento di stomaco, questa era il tipo di persona che fino al giorno primo non sapeva neanche Tolkien come si scriveva. Confesso che Tolkien non mi esalta, alla sua saga fantasy preferisco quelle di R.E. Howard (Conan su tutte, si, incredibile, anche Conan il Barbaro è il personaggio di una serie di libri), di Moorcock, e, confesso il peccato veniale, la saga di Dragonlance, in particolare la saga della Guerra dei gemelli. Ma il solo fatto che un libro come "Il Signore degli Anelli" finisse in mano a persone che credevano che gli Elfi fossero piccoli e blu, mi faceva ribrezzo. Anche perché, al 90%, chi compra un libro che ha ispirato un film, il libro lo prende, lo mette sullo scaffale e gli fa prendere polvere.

Ora sta uscendo il film di John Carter, come ho detto sopra io John Carter l'ho scoperto nella tarda adolescenza, intorno ai 20 e passa anni, e mi ha fatto scoprire un eroe incredibile, fantastico, schietto, vero, duro. Insomma, John Carter è uno dei miei miti, non si discute. Mi fa senso pensare che quelle persone di cui sopra, ora vadano a comprare i libri di di Burroughs solo perchè hanno visto il film, bello o brutto che sarà, ma le stesse persone penseranno che è bello, perché cosi gli dice di pensare la pubblicità. Mi viene la pelle d'oca a vedere il mio eroe letto da chi non se lo merita, o venire mercificato dalla Disney che vende il libro tratto dal film (una cosa cosi schifosa l'ho vista solo con "Dracula").

Non ho dubbi che John Carter sarà un grande film, non so quanto sarà attinente ai romanzi, di sicuro Dejha Toris non sarà tutta rossa e andrà in giro con le tette al vento, ne il sangue scorrerà a fiumi, ma spero vivamente che non avrà il successo che la Disnay spera, e che le persone si avvicinano ai libri per leggerli, non solo per possederli.

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