Sogna Francesco

Questo racconto è molto più recente degli altri, e l'ho scrissi per partecipare ad un concorso chiamato "I sogni nel cassetto", da cui la spiegazione dell'illustrazione a fianco. Devo dire un paio di cose in merito, il concorso non l'ho vinto, anzi, non ho neanche potuto partecipare perché le poste mi rimandarono indietro le copie spedite; non ricordo il perché sinceramente. La seconda è che sebbene il protagonista si chiami Francesco, e che per un caso della vita è lo stesso nome di mio figlio, lui non è mio figlio. Non ero sposato all'epoca, ne tanto meno fidanzato con mia moglie, figuriamoci pensare ad avere un figlio. Però, per qualche gioco del caso, ci sono alcune similitudini fra il Francesco della storia e quello reale. Ora basta chiacchiere però, e buona lettura.

Sono ricco, ricco e felice. Possiedo una piccola isola nei Caraibi. Mi sento come Marlon Brando in quella pubblicità degli anni 90. Passo tutte le mie giornate a prendere il sole, a bere Mai Tai, e a farmi coccolare, imboccare e massaggiare dalle mie procaci cameriere in costumi succinti. Penso che alzerò loro lo stipendio, però dovranno mettersi tutte in topless, anche la cuoca. Che posso volere di più dalla vita? Devo ricordarmi di dire a Nando di acquistare altre 5000 azioni di quella ditta di Seattle, lo faccio quando finisco il drink.

Magari, per ora sono solo seduto dietro la mia scrivania, con le mani sotto il mento, e guardo fuori dalla finestra sognando quell’isola. È strano il paesaggio li fuori, abituato com’ero all’Italia, a Napoli. Vedevo palazzi vecchi e nuovi, alcuni alti pochi piani, altri quasi una decina. Ora solo una giungla di cemento, grattacieli a non finire, ci sono giorni in cui il sole si riflette su più di cento finestre e l’ufficio è inondato da cosi tanta luce da abbagliarmi. Guardo la fuori e ripenso a come potrebbe essere stata la mia vita se non fossi diventato dirigente della ditta in cui lavoro, forse starei ancora a Napoli, magari in quel piccolo ufficio in cui facevamo web designing. Ancora a combattere con i clienti perché non gli stava bene nulla, ancora a chiedere di essere pagati a fine mese, ancora ad arrangiarsi e arrabattarsi per trovare nuova pubblicità e nuovi clienti. Povero Antonio, il mio ex capo, magari è ancora lì a fare le tre di notte per terminare un sito. Per fortuna che ho fatto quella domanda, e ora sono qui, a guardare New York dall’alto. Sono arrivato, sono ricco, ho una bella moglie, Lory, e due figli, Joe e Nancy. Cosa posso volere di più? E tutto questo in soli due anni, che grande culo che ho avuto.

- FRANCESCO!
La voce di Antonio tuonò da una parte all’altra dell’ufficio. Francesco si svegliò dal suo stato di torpore, e smise di immaginare la sua vita futura, risvegliandosi nel suo ufficio di sempre nel cuore di Napoli. Lontano da New York, dai grattacieli, e dal sole battente. Era inverno, un inverno freddo per il sud Italia, addirittura c’era stato un accenno di neve, e ogni giorno pioveva e tirava vento.
- Francè ti vuoi svegliare – continuò Antonio – guarda che se non finiamo questa cosa per stasera il cliente non ci paga, hai finito quella sequenza in ASP? Muoviti che Nando sta finendo le ultime animazioni in Flash, e poi mettiamo tutto insieme.
- Si … si … scusa. Io, io stavo pensando a una cosa. – cercò di difendersi il povero Francesco
- Si, a questo – gli rispose Antonio indicandogli la patta dei suoi pantaloni – muoviti che non abbiamo più tempo. Vi avverto tutti, oggi non si pranza se non finiamo questo sito, CAPITO?
Cosi dicendo, si avviò verso la porta del suo ufficio, la aprì e se la tirò forte dietro le spalle, il rumore fece saltare tutti e quattro gli impiegati del piccolo ufficio dalle loro sedie. Francesco si guardò intorno con circospezione e fisso uno per uno i suoi colleghi. Nando, il grafico, Giuseppe, l’assistente, o meglio il fattorino mascherato da assistente, e Loredana, la segretaria, o l’esattrice come la chiamavano i clienti. Loredana si alzò, e andò vicino a Francesco, si appoggiò con le braccia sulla scrivania, mettendo in mostra la sua notevole scollatura, e iniziò a fissarlo.
- Allora? – gli chiese – cosa vuoi fare stasera?
- Tu non ci hai ripensato, vero? Il nostro appuntamento è ancora valido?
- Certo, e visto il modo in cui ti ha trattato Antonio, penso di sapere cosa ti può tirare su.
- Cosa?
- Saltiamo il cinema e andiamo direttamente a casa mia. Voglio farti vedere un mio tatuaggio.
- Ah, e dov’è…

- FRANCESCO! - Stavolta era la madre di Francesco a strillare – TI VUOI ALZARE OPPURE NO, SONO LE SETTE E MEZZO, QUANDO CI VAI A SCUOLA?
- Eh, cosa, come?
Francesco si alzò di scatto nel mezzo del letto, controllò la piccola sveglia sulla scrivania, e si accorse finalmente del tempo perso a fantasticare. Era il suo sport preferito ormai, sognare la sua vita futura, bella o brutta che potesse essere, in tutti modi possibili, e spesso irrealizzabili.
Si vestì in fretta e furia, mise lo zaino in spalla, e raccolse al volo la sua colazione. Solo la brioche, il latte non poteva portarselo via. Una corsa fino in piazza, e un'altra dietro all’autobus che non voleva fermarsi a prenderlo su. Una volta a bordo, si guardò in giro, e vide il gruppetto dei suoi compagni di viaggio. C’erano tutti, Nando, il suo compagno di banco, Peppe, quello della prima B, e Antonio e Loredana, che stavano insieme da sempre. Anche se Francesco sperava che un giorno o l’altro si sarebbero lasciati, e lei si sarebbe accorta di lui. Fra uno spintone e l’altro, si avvicinò a loro e iniziò a parlare con Nando.
- Allora Francè, hai studiato per il compito di oggi?
- Cazzo, il compito di inglese, me lo sono proprio tolto dalla testa. Speriamo … speriamo che il prof non viene, cazzo, come faccio?
- Eh, non viene.
- E che ne sai, magari ha un imprevisto, che so, un lutto in famiglia…
- E si, magari muore, sogna Francè sogna che è meglio.

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